martedì 4 settembre 2012

L'esempio di Dalla Chiesa sia di monito nella lotta alla legalità

"Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del Prefetto di Forlì"! Carlo Alberto Dalla Chiesa in una dichiarazione di Maggio 1982 a pochi mesi dal suo assassinio mafioso.










Carlo Alberto Dalla Chiesa, già ufficiale dei Carabinieri, entrò nel 1943 nella Resistenza e operò clandestinamente nelle Marche dove contrastò i tedeschi. Finita la guerra conobbe per i suoi corsi di studi Aldo Moro nella veste di docente dell’Università di Bari e nel 1949 venne inviato in Sicilia per contrastare la mafia. Qui indagò sull’uccisione di Placido Rizzotto, sindacalista Cgil, e incriminò Luciano Liggio, efferato capomafia italoamericano, e venne in contatto con Pio La Torre che subentrò a Rizzotto nella guida della Camera del Lavoro di Corleone.

Dopo alterne vicende tra incarichi nazionali e ritorni in Sicilia, seguì le indagini per l’assassinio del giornalista palermitano Tullio De Mauro, del Procuratore Pietro Scaglione e avviò un metodo d’indagine innovativo che fece emergere le responsabilità del capo dei capi Michele Greco e dei contatti tra politica e mafia.

Impegnato negli anni settanta nella guerra al terrorismo brigatista, Dalla Chiesa che il 16 dicembre 1981 assume il Vice-Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, dopo l’uccisione mafiosa prima del Presidente della Regione Siciliana, Piersanti Mattarella nel 1980 e poi del segretario regionale del PCI, Pio La Torre, avvenuta il 30 aprile 1982, venne sollecitato dal Ministro Virginio Rognoni a tornare a Palermo nelle vesti di Prefetto.

Ma nonostante le promesse non gli furono attribuiti poteri straordinari e pur riuscendo in pochi mesi a raccogliere il dossier dei 162 e arrestare dieci boss corleonesi, il 3 settembre 1982 alle 21.15 la mafia lo assassinò per ordine di Provenzano, Riina, Pippo Calò, Brusca e Geraci. Con lui morirono la moglie Emanuela Setti Carraro che guidava la 112 e l’agente di scorta Domenico Russo.

Al suo funerale i vertici istituzionali nazionali subirono una forte contestazione popolare ed il Cardinale Pappalardo nell’omelia accusò lo Stato  <  Mentre a Roma si pensa sul da fare, Sagunto brucia..e questa volta Sagunto è Palermo. Povera la nostra Palermo >. La figlia Rita per protesta rifiutò simboli e condoglianze delle istituzioni facendo porre sulla bara solo il tricolore, la sciabola e il suo berretto da Generale.

Prestavo servizio presso la Tenenza dei Carabinieri di Agnone quando ci arrivò la notizia dell’assassinio mafioso di Dalla Chiesa e conserverò per sempre il ricordo del gelo che ci cadde addosso insieme allo sdegno e alla rabbia. Ma l’Italia di Bearzot aveva appena vinto i mondiali di Spagna e ben presto si distolse dalla perdita di un grande Servitore dello Stato, che dopo 30 è stato archiviato come se il suo sacrificio per la legalità fosse stato vano. Non può essere così !

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