sabato 7 luglio 2012

Infiltrazione della criminalità organizzata in Molise

Gestione dei pentiti e rischi per la loro incolumità e per la sicurezza del territorio.









È ancora vivo il ricordo sul caso di Lea Garofolo, testimone di giustizia di Petilia Policastro, sequestrata a Campobasso nel 2009, dove viveva con la figlia di 17 anni, uccisa e sciolta nell’acido in un terreno a San Fruttuoso, vicino Monza. Si era messa contro le cosche crotonesi della ndrangheta e lo Stato non è riuscito a proteggerla.

Il 22 luglio 2011 in un autorimessa di Termoli (CB) in Via Mazzini, controllata dal collaboratore di giustizia Felice Ferrazzo, ex-capo dell’omonimo clan della ndrangheta, nel crotonese, venne ritrovata una Daewoo, intestata a una donna equadoregna, con un carico d’armi (Kalashnikov, pistole, silenziatori, giubbotti antiproiettili e munizioni per un valore di 100 mila euro).

Felice Ferrazzo, 56 anni, condannato dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro a 9 anni e sei mesi di reclusione per gli omicidi Russo e Caselli, col suo clan si era specializzato in traffico d’armi, droga e riciclaggio di denaro. Dopo il suo arresto nel 2000 decise di collaborare con la giustizia arrivando sulla costa adriatica tra San Salvo, Termoli e Campomarino.

E proprio a Campomarino (CB) viveva suo figlio Eugenio Ferrazzo, detto “Roberto il Calabrese”, 33 anni insieme alla compagna originaria di Vasto (CH), tratto in arresto a giugno 2011 per aver aperto una raffineria di cocaina a San Salvo (CH).

Da ultimo, il pentito di ndrangheta, Luigi Bonaventura, 40 anni di Crotone, ex-capo della cosca Vrenna – Corigliano – Bonaventura, spostato a Termoli (CB) sotto falso nome all’interno del Programma di Protezione Testimoni, già dal 28 gennaio 2012 ha denunciato alla stampa il rischio di finire come Lea Garofalo.

La moglie, Paola Emmolo, ha evidenziato i pericoli che corre a Termoli dove la famiglia è oggetto di atti intimidatori a conferma che la ndrangheta ha scoperto da tempo (?!) il luogo segreto e le false generalità di Luigi Bonaventura.

L’ex-capo della cosca Vrenna – Corigliano – Bonaventura ha affermato che le armi rinvenute nell’autorimessa di Termoli servivano per il suo assassinio, ha spiegato di essere stato avvicinato più volte da uomini della ndrangheta legati al potente clan De Stefano per pilotare le testimonianze nelle inchieste aperte dalla Direzione Antimafia di Reggio Calabria in cui risultano indagati tra gli altri anche l’ex-tesoriere della Lega Nord, Belsito e l’uomo d’affari genovese, Romolo Ghirardelli.

E risale al 5 luglio 2012 l’ultimo messaggio agghiacciante di un sedicente “Comitato per la erigenda grotta di Lourdes” che ha fatto rinvenire nella cassetta postale del palazzo di Termoli, dove abita il pentito, un proiettile calibro 9x19 appartenente ad armi da fuoco generalmente usate dalla criminalità organizzata.

Nel messaggio mafioso il volantino religioso accompagnato da un proiettile è chiaro.

Non compete a me valutare l’attendibilità dei rischi che corrono Luigi Bonaventura, la moglie e i suoi due figli, per l’assenza di garanzie di anonimato, di scorta e di misure di protezione meno evanescenti di quelle attivate per Lea Garofalo. E saranno le preposte autorità nazionali e regionali ad occuparsi del caso.

Ciò che intendo segnalare con viva preoccupazione è l’accentuarsi di episodi inquietanti in Molise, l’ultimo a Venafro (IS) col pestaggio a sangue di un imprenditore locale e altri episodi, legati allo smaltimento illecito di rifiuti, all’affare miliardario dell’eolico selvaggio ottimamente denunciato dalla giornalista anticamorra de IL MATTINO Rosaria Capacchione, all’acquisizione di fabbriche nell’area del venafrano da parte di operatori economici coinvolti in inchieste della Procure di Napoli e di Santa Maria Capua Vetere sul clan camorristico “Fabrocino”, alle attività di riciclaggio del denaro, al traffico di stupefacenti, alla presenza nel mondo degli appalti e dei sub-appalti, al sequestro di beni mafiosi e all’utilizzo del territorio molisano come luogo di clandestinità dei criminali.

Mi limito a segnalare l’inchiesta dei ROS del 2002 sull’interramento di rifiuti tossici a Campomarino (CB) riportata anche nel libro GOMORRA di Roberto Saviano, che a distanza di 10 anni non ha visto ancora bonificata l’area, e che conferma la decennale attenzione delle mafie verso il Molise.

In una regione fragile, con una società civile debolissima, che non seppe reagire nemmeno al confino di Vito Ciancimino a Rotello (CB), che usa obbedire tacendo in un clima omertoso, rassegnato ed utilitaristico, non è difficile per organizzazioni criminali che dispongono di liquidità impressionanti, comprare il consenso e l’assuefazione.

Mi sono opposto da ex-Segretario Generale della CGIL Molise prima, da socio fondatore di Libera contro le Mafie del Molise e all’interno delle istituzioni regionali, insieme a un ristretto nucleo di esponenti della società civile, personalità e associazioni, alla penetrazione criminale sul territorio, ma sono consapevole che è una battaglia impari e se non ci sarà un sostegno nazionale assisteremo alla spartizione del Molise tra Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita.

Non ho titoli per chiedere nulla a nessuno, ma voglio attestare e sperare che con l’aiuto esterno anche il Molise trovi la forza per rialzarsi e reagire, in difesa della legalità e della libertà.

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