La Modern Money Theory, portata a Rimini da Paolo Barnard e da cinque
importanti economisti, vista attraverso gli occhi della gente presente.
La comprensione, le aspettative, le idee delle persone comuni che
dovranno poi cercare di divenire parte di una rivoluzione democratica
che parte dall'economia.
di Pierangela Magioncalda*
Ero
fra i partecipanti, a Rimini, in mezzo agli attivisti della MMT (Modern
Money Theory). Sono stati in tanti a rispondere all’appello del
giornalista Paolo Barnard lanciato dal suo sito il 12 dicembre 2011 e ce
l’hanno fatta: venerdì sera, 24 febbraio, al 105 Stadium della città
romagnola si sono riunite circa duemila persone per tre giorni, per
ascoltare le lezioni di economia di quattro economisti americani
esponenti del gruppo dei post-keynesiani (William Black, Michael Hudson,
Stephanie Kelton, Marshall Auerback) e di un “circuitista” francese
(Alain Parguez). Il convegno era finanziato interamente dai
partecipanti, tramite sottoscrizione on line.
L’evento
- per quanto rilevante per partecipazione, organizzazione e di
eccellente livello scientifico - è stato completamente ignorato dai
media, da qualunque partito politico nonché da tutte le organizzazioni
sindacali.
Solo Il Fatto Quotidiano ha pubblicato un articolo sul suo sito.
Eppure l’argomento si collega alle domande più interessanti e importanti che si possano discutere di questi tempi:
Perché l’eurozona è in crisi? Si può uscire da questa situazione? E se
sì, come? Vi sono visioni dell’economia valide e alternative alle teorie
del mainstream dominante che ci ha trascinati in questa
voragine? È possibile avere uno Stato e un’economia che lavorino per i
cittadini e non per le élites finanziarie? Come arginare questa
immensa emorragia di denaro dall’economia reale e dalle tasche dei
cittadini verso l’economia finanziaria e i suoi signori? È possibile
raggiungere una piena occupazione con una contemporanea stabilità dei
prezzi o non ci resta che seguire i dettami di Draghi, dell’FMI e subire
i verdetti delle agenzie di rating?
«Voi
siete il peggior incubo dei banchieri» ha esordito il professor Black.
Forse anche o soprattutto per questo si è tentato di far passare il
tutto sotto silenzio. Un pensiero diverso fa paura e per questo è stato
così strenuamente combattuto e bandito dalle università, dai media e dalla politica
negli ultimi decenni in tutto il mondo, convincendo tutti quanti che,
finalmente, dopo la caduta del comunismo, non solo viviamo nel migliore
dei mondi possibili, ma anche nell’unico mondo possibile.
Ma nonostante questa immensa potenza di fuoco contro ogni alternativa
e il continuo dileggio di ogni tentativo di dire qualcosa di diverso,
non si è fermata in molti la voglia di partecipare e di capire, anzi:
forse proprio questa sete di novità e di speranza ha spinto così tanta
gente a rispondere all’appello di Barnard.
La
platea era assai eterogenea per età, provenienza geografica e
background culturale. Numerosissimi i giovani, ma persino coppie di
anziani non si sono fatte spaventare dalla maratona accademica,
desiderosi di capire perché si è finiti in questa situazione e quali
possano essere le possibili soluzioni per uscirne.
Il
tutto all’interno di una cornice, il 105 Stadium di Rimini che, così
affollato, dava l’impressione ai presenti di essere lì in procinto di
ascoltare un concerto rock anziché la pacata ancorché brillante
esposizione di teorie economiche.
E invece: vere e proprie lezioni, tanto rigorose quanto chiare nell’esposizione, hanno fatto comprendere ai partecipanti come una differente visione del denaro e del deficit dello Stato può letteralmente capovolgere la visione neoclassica liberista,
propinataci fino ad oggi come verità assoluta e indiscutibile. Un dogma
che vuole continuare a imporci sempre più politiche di austerità e di
erosione dei diritti dei lavoratori allo scopo di ridurre o addirittura
eliminare il deficit di bilancio dello stato (vedasi il fiscal compact di fine gennaio).
Ma qual è il cuore di questa teoria economica che si rifà al pensiero di economisti del calibro di John Maynard Keynes, Georg Friedrich Knapp, Abba Lerner e Hyman Minsky?
In uno Stato a moneta sovrana, come gli attuali USA o il Giappone, la moneta è un “io ti devo”
emesso dal Governo, il quale potrà sempre ripagare il suo debito fino a
quando lo vorrà, in virtù del fatto che potrà sempre emettere denaro
nella valuta in cui il suo debito è stato contratto. Potrà inoltre
comprare tutto ciò che è in vendita in quella valuta senza dover cercare
i soldi sui mercati finanziari, libero di fissare i tassi di interesse
dei suoi titoli. Ma non solo: lo Stato, spendendo a deficit, immette risorse finanziarie nella società per finanziare l’economia reale e creare ricchezza netta per i cittadini, a seconda delle politiche di spesa che adotta. In questo modo, a un deficit per lo Stato, corrisponde un surplus
per il settore privato che permette la realizzazione degli investimenti
e di politiche sociali per i cittadini. In sostanza le risorse
finanziare di uno Stato a moneta sovrana sono virtualmente infinite e l’unica linea estrema della spesa è data dai limiti dello sfruttamento delle risorse reali,
quelle sì finite per davvero. Insomma, tutto il contrario del
neoliberismo. Ciò implica che una politica di austerità, in uno stato a
moneta sovrana non potrà mai essere giustificata dalla frase «non ci
sono soldi per…».
Questo
spiega perché economie come quella degli USA o quella giapponese, ma
anche quella britannica, non stanno subendo una crisi del debito sovrano
nonostante il rapporto deficit PIL sia ben superiore a quello dei paesi
PIIGS dell’eurozona. Non dimentichiamo che anche l’Italia, in passato
ha avuto un rapporto deficit PIL del 120%, a cui però non è corrisposta
una crisi del debito come quella attuale, in quanto all’epoca l’Italia
aveva ancora la sua sovranità monetaria.
In questa visione anche il ruolo delle tasse è completamente stravolto rispetto alla teoria neoclassica: le imposte servono ad obbligare i cittadini ad usare la valuta del governo,
assicurando pertanto un valore a quest’ultima, a ritirare denaro in
eccesso dal mercato controllando così anche l’inflazione e a diminuire
la sperequazione tra i suoi cittadini.
Anche i titoli di stato, in questo sistema, sono uno strumento di politica monetaria attraverso il quale si definisce la riserva monetaria disponibile e pertanto il tasso di interesse sul denaro, e non sono quindi uno strumento per finanziare la spesa pubblica.
Oggi invece i paesi dell’eurozona, avendo perso la loro sovranità monetaria,
devono chiedere i soldi sui mercati finanziari esattamente, come le
imprese e le famiglie, e non possono pertanto garantire la loro
solvibilità.
Ovviamente,
date queste condizioni, gli Stati sono poi ricattabili dai mercati
finanziari, come abbiamo tutti imparato molto bene in questi ultimi
anni. Da qui la crescita dei tassi di interesse sul debito, l’ossessione
del deficit, le politiche di tagli allo stato sociale e di austerità,
l’impossibilità di qualunque politica autonoma per uno Stato per
sostenere l’economia reale e realizzare politiche per la piena
occupazione, con conseguente recessione economica e avvitamento nel circolo vizioso: la spirale che i paesi PIIGS stanno sperimentando sulla loro pelle.
Infine si è discusso a lungo di cosa ha significato in concreto l’Unione Europea e di come i tecnocrati, in particolare tedeschi e francesi, abbiano di fatto costruito l’Euro a beneficio delle élites
finanziarie e delle economie dei loro paesi, soprattutto la Germania,
che ha visto crescere il surplus della sua bilancia commerciale con
l’estero a spese dei paesi mediterranei, e a danno di tutti i cittadini
europei, tedeschi compresi che, in nome della competitività hanno visto
scendere i loro salari reali dal 2000 ad oggi.
Le possibili soluzioni proposte vanno da un totale stravolgimento del ruolo della BCE, che dovrebbe distribuire soldi ai vari paesi in proporzione alla popolazione presente (Auerback), così da rifinanziare l’economia reale, e non le banche
come di fatto si sta facendo adesso, ma soprattutto bisognerebbe
abbandonare la moneta unica e ritornare alla sovranità monetaria con
successiva applicazione della MMT. L’esempio argentino è stato portato come prova concreta del possibile successo di queste teorie post-keynsiane.
Gli
economisti - subissati di domande da un pubblico assai interessato e
ormai abituato a leggere i siti di riferimento della MMT - hanno dovuto
poi spiegare cosa potrebbe attendere gli italiani non appena dovessero
uscire dall’euro. I partecipanti hanno manifestato la preoccupazione per
lo spettro dell’inflazione e per il possibile destino dei loro
risparmi, ma soprattutto è emersa la possibilità di conflitti anche
violenti tra i paesi europei a causa della crisi, che questo tipo di
unione che abbiamo oggi non allontana, ma anzi fomenta.
Non è mancata poi una dettagliata analisi delle frodi finanziarie, soprattutto da parte di William Black, che ha reso chiaro ai presenti di come le truffe, di cui Enron, Parmalat e i muti subprime sono tra gli esempi più noti, sono state e sono la regola
in un sistema totalmente deregolamentato che finge di avere una fiducia
ceca nella capacità del mercato di autoregolamentarsi soltanto per
continuare a perpetrare la rapina ai danni dei popoli, dentro e fuori
gli Stati Uniti d’America.
La
MMT e le risposte ricevute dai cinque economisti senz’altro hanno
entusiasmato i partecipanti. Gli applausi finali ai relatori al termine
della tre giorni riminese non finivano più, roba da far invidia agli
artisti che al 105 Stadium periodicamente si esibiscono.
Dopo questi entusiasmi, i problemi richiederanno tuttavia non solo una diversa visione dell’economia
(l’applicazione della MMT), ma anche la rinascita di una politica non
corrotta, di una vera democrazia fatta dai e per i cittadini. E
richiederà anche una consapevolezza dei limiti delle risorse che non
sarà compatibile con un rilancio dell’economia reale e industriale
secondo i modelli che abbiamo conosciuto in passato: non è più tempo per
i boom e i miracoli economici basati sulla crescita infinita.
Niente
soluzioni miracolose quindi, ma strumenti intelligenti e concreti che
il popolo dovrà avere la forza di imporre alla sua classe dirigente,
anzi a una sua nuova classe dirigente, visto che quella attuale si è
dimostrata essere, per chi ancora non lo avesse capito, mera espressione
degli interessi dei banchieri e della classe dominante.
Al
termine della kermesse Paolo Barnard ha annunciato di non voler
abbandonare gli attivisti. Adesso tocca però anche ai duemila
partecipanti sapersi organizzare e unire per far fruttare, e in qualche
modo concretizzare, il cospicuo lavoro di Rimini.
*Alternativa Liguria - Genova
Articolo ripreso da megachip.info
ALTRE INFO
IL VIDEO REPORTAGE QUI
MMT Italia: http://www.democraziammt.info/
New Economic Perspectives: http://www.neweconomicperspectives.org/
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