lunedì 10 giugno 2013

Stefano Cucchi e la "giustizia di classe"

Come Osservatorio sulla Repressione, abbiamo, dalle prime ore successive la morte di Stefano Cucchi, scritto, detto e dimostrato che la morte di Stefano era omicidio di Stato.










Oggi, con scientificità giuridica, affermiamo che la sentenza di primo grado è una sentenza di regime. Essa è frutto della "ragion di Stato" che è storicamente figlia dell'emergenzialismo, dello "stato di eccezione". Cioè dell'attuale contesto politico.

Se vengono condannati solo i medici e assolti poliziotti, carabinieri, ecc., viene, infatti, dato un messaggio preciso: Stefano è morto per un errore "sanitario"; e, tra l'altro (come dice Giovanardi), se l'è cercata, perché era un "tossico" (ricordo, per inciso, che la legge Fini/Giovanardi contro i tossicodipendenti è un insulto alla ragione sul piano giuridico, sociale e finanche medico).

Il Sap, sindacato di polizia noto per posizioni corporative e vandeane, esulta. Ilaria, i genitori, gli amici, i compagni, noi presenti alla lettura della sentenza, abbiamo pianto (di dolore, di rabbia, di indignazione, per la morte dello Stato di diritto).

Il corpo di Stefano Cucchi abbiamo potuto vederlo tutti. Abbiamo potuto vedere, grazie alla forza e al coraggio della famiglia, i segni di quanto gli era accaduto. Erano nostre allucinazioni? Stefano è morto dopo che è stato arrestato perché in possesso di droga, portato in una caserma dei carabinieri, tradotto in carcere, condotto in tribunale, ricoverato in un paio di ospedali.
 
Decine di uomini e donne con responsabilità pubbliche si sono avvicendati nel prenderlo in consegna. Ora con la sentenza del tribunale di Roma pagano in modo misurato alcuni medici. Tutti gli altri sono assolti. Molti non sono neanche entrati nell’inchiesta.

II pubblico ministero che indagava sulle violenze che avvenivano nel carcere di Teramo, dove un graduato della polizia penitenziaria diceva "si pesta di sotto", ha dovuto archiviare tutto; alzando le braccia ha stigmatizzato l’omertà che regna nelle istituzioni reclusorie.

Lo spirito di corpo prevale sulla verità. Dovremo riflettere ed agire, ricostruire attenzione e coscienza democratica su temi "difficili" anche per il popolo della sinistra, come il carcere, il garantismo, la critica del potere (a partire dai poteri militari).

Riguarda anche il nostro agire sociale, le nostre lotte, se è vero che, mentre i massacratori di Stefano vengono assolti, cresce la "detenzione sociale" cioè un numero sempre maggiore di operai, precari, occupanti di case, studenti viene represso e compagni antifascisti come Davide Rosci che langue nel carcere di massima sicurezza di Viterbo con una condanna abnorme. E' l'ora di lanciare una campagna politica di amnistia per la detenzione politica e sociale. Per il momento pongo solo, brevemente, alcune questioni:

1) La magistratura non ha mai creduto di dover svolgere un'indagine seria sull'uccisione di Stefano. Non ha, infatti, mai collegato il suo viso tremendamente tumefatto, le sue fratture, le sue ossa rotte, al contesto complessivo concernente i tempi e i luoghi. Ha sminuzzato le indagini, le ha sezionate, perdendo di vista il punto centrale: se non fosse passato in quei luoghi gestiti dal potere militare Stefano sarebbe ancora vivo. Quello dei periti asserviti al potere (anche per avere molti incarichi) è diventato, poi, un cancro per moltissimi processi;

2) Così muore lo Stato di diritto perché muore l'habeas corpus che ne è il fondamento primo (quando una persona è nelle mani del potere, insegnava Cesare Beccaria, la sua vita deve essere tutelata e considerata sacra da chi lo arresta e ne domina anche il corpo, altrimenti introduciamo la pena di morte surrettizia. Nelle carceri italiane, purtroppo, lo documentiamo da anni, vige la tortura (sovraffollamento, atti di autolesionismo dei detenuti, suicidi, torture fisiche vere e proprie). Tanto è vero che le Commissioni europee prevedono la costituzione, entro un anno, del National Preventive Mechanism (meccanismi di controllo e garanzia di tutti i luoghi di detenzione, carceri, caserme, commissariati, galere etniche);

3) La sentenza Cucchi, come la sentenza contro le violenze poliziesche al G8 di Genova, richiedono l'applicazione dell'obbligo dell'introduzione del reato di tortura nel codice penale. E' una delle misure giuridiche per contrastare omertà e corporativismo omicida dei poteri militari, alimentati dai comportamenti della quasi totalità delle forze politiche.

La Convenzione Onu contro la tortura ed altre pene e trattamenti crudeli, disumani o degradanti è entrata in vigore il 26 giugno 1987. Nel giugno 2008 è stata ratificata da 145 paesi. Vergognosamente l'Italia, pur avendo ratificato la Convenzione, non vuole inserire nel codice penale il reato di tortura.

L'Italia è lo Stato europeo con il maggior numero di condanne per violazione della Convenzione europea dei diritti della persona.

Concludo con  un appello: andiamo a firmare in massa le tre leggi di iniziativa popolare sulla giustizia e i diritti che molte associazioni hanno promosso. Una di queste è per la introduzione del delitto di tortura nel codice penale. Dimostriamo che non siamo una minoranza.

Il 26 giugno è la giornata indetta dall’Onu per ricordare le vittime della tortura. Ricordiamo Stefano firmando in massa. Ci vogliono 50 mila firme per poi indurre il Parlamento a legiferare.

Ricordo che nei prossimi giorni il tribunale di Firenze dovrà giudicare alcuni poliziotti penitenziari resisi responsabili di violenze avvenute nel carcere di Sollicciano

Ricordo anche che il 14 giugno la Cassazione sentenzierà sulle torture, le violenze e i soprusi compiuti nella caserma Bolzaneto durante le tragiche giornate di Genova nel luglio 2001.

Per quanto ci riguarda insistiamo e insisteremo perché vi sia giustizia ogni qualvolta è violata, calpestata la dignità umana delle persone in custodia dello Stato.

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