L' impatto devastante sull' apparato industriale è reso evidente da caduta di produzione, chiusura di imprese, perdita di posti di lavoro, riduzione di base produttiva, redditività e autofinanziamento.
Come risollevarsi? La storia dei paesi avanzati ed emergenti insegna che la crescita economica dipende dallo sviluppo industriale e che le condizioni del successo manifatturiero vanno costruite con determinazione. L’ingresso simultaneo e in pochi anni di nuove grandi economie nell’arena internazionale costituisce uno shock epocale a cui è necessario rispondere senza più indugi.
Il contesto globale profondamente mutato nei rapporti di forza tra gli avanzati e gli emergenti obbliga a puntare sulla competenza nel presidiare mercati e catene dell’offerta. Subito prima della crisi l’industria italiana aveva conservato nell’export due strategici punti di forza: una gamma di prodotti ricca e complessa e un’ampia creazione di valore negli scambi con l’estero.
Ma la duratura contrazione della domanda interna europea è diventata uno svantaggio competitivo perché comprime in modo insostenibile l’utilizzo della capacità produttiva e genera un’efficienza così marcata da non poter essere gestita a livello aziendale. Ciò rende ancora più urgente l’attivazione di oculate politiche espansive.
"L'Italia rimane la settima potenza industriale ma la sua base produttiva è messa a rischio dalla profondità e dalla durata del calo della domanda". Così il Centro Studi di Confindustria che avverte: "La crisi ha già causato la distruzione del 15% del potenziale manifatturiero italiano". Si calcola che quasi 55mila imprese del settore hanno chiuso i battenti nel quadriennio 2009-2012.
E 539 mila persone hanno perso il lavoro tra il 2007 e il 2012 mentre permane il rischio di nuovi tagli (ipotesi -724 mila unità). Tuttavia, per il Csc, "l'Italia ha ottime carte da giocare". "Più manifatturiero uguale più crescita", sottolinea.
Il contesto globale profondamente mutato nei rapporti di forza tra gli avanzati e gli emergenti obbliga a puntare sulla competenza nel presidiare mercati e catene dell’offerta. Subito prima della crisi l’industria italiana aveva conservato nell’export due strategici punti di forza: una gamma di prodotti ricca e complessa e un’ampia creazione di valore negli scambi con l’estero.
Ma la duratura contrazione della domanda interna europea è diventata uno svantaggio competitivo perché comprime in modo insostenibile l’utilizzo della capacità produttiva e genera un’efficienza così marcata da non poter essere gestita a livello aziendale. Ciò rende ancora più urgente l’attivazione di oculate politiche espansive.
"L'Italia rimane la settima potenza industriale ma la sua base produttiva è messa a rischio dalla profondità e dalla durata del calo della domanda". Così il Centro Studi di Confindustria che avverte: "La crisi ha già causato la distruzione del 15% del potenziale manifatturiero italiano". Si calcola che quasi 55mila imprese del settore hanno chiuso i battenti nel quadriennio 2009-2012.
E 539 mila persone hanno perso il lavoro tra il 2007 e il 2012 mentre permane il rischio di nuovi tagli (ipotesi -724 mila unità). Tuttavia, per il Csc, "l'Italia ha ottime carte da giocare". "Più manifatturiero uguale più crescita", sottolinea.
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