martedì 30 ottobre 2012

Consiglio di Stato, pubblichiamo la sentenza integrale

Confermato il verdetto del Tar, respinti i ricorsi del centro-destra. Si tornerà alle urne nel giro di pochi mesi.






                                                            






                                                                 REPUBBLICA ITALIANA

                                                        IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

                                                                       Il Consiglio di Stato

                                                           in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

                                                                  ha pronunciato la presente









                                           SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4704 del 2012, proposto da Giovanni Camino, rappresentato e difeso dall'avv. Nicola De Pascale, con domicilio eletto presso la Segreteria della Quinta Sezione del Consiglio di Stato in Roma, Piazza Capo di Ferro 13;

                                            contro

Mariolga Mogavero, Michele Di Giglio, Giuseppe Di Gregorio, Francesco Di Biase, Pietro Ferrazzano, Simona Contucci, Costantino Manes, Fernando Mastrogiorgio, Nicola Pettirossi, rappresentati e difesi dagli avv. Angelo Clarizia, Salvatore Di Pardo e Giuliano Di Pardo, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Principessa Clotilde 2;

                                       nei confronti di

Regione Molise, Uff.Centr.Elett. Reg. c/o Corte Appello di Campobasso, Ministero dell'Interno, Presidenza Consiglio dei Ministri, Uff.Centr.Elett. Circoscriz.Campobasso c/o Trib.Campobasso, Consiglio Regionale Molise, Uff.Centr.Elett. Circoscriz.Isernia c/o Trib.Isernia, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;
Angelo Michele Iorio, Luigi Velardi, Pietracupa Mario, Scassera Michele, Romagnuolo Nicola Eugenio, Bizzarro Vincenzo, Chieffo Antonio, Fusco Angiolina, Vitagliano Gianfranco, Tamburro Riccardo, Sabusco Giuseppe, Cavaliere Nicola, Izzi Domenico, D'Aimmo Antonio, rappresentati e difesi dagli avv. Michele Briamonte, Vincenzo Colalillo, Michele Marone, Enrico Follieri, Enrico Lubrano, Enzo Maria Marenghi, Filippo Lubrano, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Flaminia, 79/A;
Niro Vincenzo, Di Sandro Filoteo, Niro Vincenzo, Marinelli Franco Giorgio, De Bernardo Lucio, Di Laura Frattura Paolo, Palante Quintino Vincenzo, Romano Massimo, Di Donato Felice, Monaco Filippo, Ciocca Salvatore, Totaro Francesco, Petraroia Michele, Di Pietro Cristiano, Parapiglia Michele, Chierchia Gennaro, Leva Danilo, Tedeschi Cosmo;


sul ricorso numero di registro generale 4932 del 2012, proposto da:
Angelo Michele Iorio, rappresentato e difeso dagli avv. Filippo Lubrano, Michele Briamonte, Vincenzo Colalillo, Enrico Follieri, Enzo Maria Marenghi, con domicilio eletto presso Studio Lubrano in Roma, via Flaminia 79; Luigi Velardi, Mario Pietracupa, Michele Scasserra, Nicola Eugenio Romagnuolo, Riccardo Tamburro, Vincenzo Bizzarro, Antonio Chieffo, Gianfranco Vitagliano, Giuseppe Basusco, Domenico Izzi, Nicola Cavaliere, Antonio D'Aimmo, rappresentati e difesi dagli avv. Enrico Lubrano, Michele Marone, Vincenzo Colalillo, Enrico Follieri, Filippo Lubrano, Enzo Maria Marenghi, Michele Briamonte, con domicilio eletto presso Studio Lubrano in Roma, via Flaminia 79; Angiolina Fusco, rappresentata e difesa dagli avv. Enrico Lubrano, Michele Marone, Enzo Maria Marenghi, con domicilio eletto presso Studio Lubrano in Roma, via Flaminia 79;

                                            contro

Mariolga Mogavero, Michele Di Giglio, Giuseppe Di Gregorio, Francesco Di Biase, Pietro Ferrazzano, Simona Contucci, Costantino Manes, Fernando Mastrogiorgio, Nicola Pettorossi;

                                       nei confronti di

Regione Molise, Ufficio Centrale Elettorale Regionale Presso La Corte D'Appello di Campobasso, Ufficio Elettorale Centrale Circoscrizionale Presso il Tribunale di Campobasso, Ufficio Elettorale Centrale Circoscrizionale Presso il Tribunale di Isernia, Ministero dell'Interno, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Regione Molise Consiglio, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato con domicilio in Roma, via dei Portoghesi 12;
Paolo Di Laura Frattura, Massimo Romano, Felice Di Donato, Filippo Monaco, Salvatore Ciocca, Francesco Totaro, Michele Petraroia, Cristiano Di Pietro, Carmelo Parpiglia, Gennaro Chierchia, Danilo Leva, Cosimo Tedeschi, Vincenzo Niro, Filoteo Di Sandro, Franco Giorgio Marinelli, Quintino Vincenzo Pallante, Lucio De Bernardo;

                                      e con l'intervento di

ad opponendum:
Beatrice Matalone, rappresentata e difesa dall'avv. Mariano Prencipe, con domicilio eletto presso la Segreteria della Quinta Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro 13;


sul ricorso numero di registro generale 4984 del 2012, proposto da Regione Molise, Uffici Centrali Circoscrizionali di Campobasso ed Isernia,Ufficio Centrale Regionale, Consiglio Regionale del Molise, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;

                                            contro

Mariaolga Mogavero, Michele Di Giglio, Giuseppe Di Gregorio, Francesco Di Biase, Pietro Ferrazzano, Simona Contucci, Costantino Manes, Fernando Mastrogiorgio, Nicola Pettorossi;

                                        nei confronti di

Angelo Michele Iorio, Luigi Velardi, Mario Pietracupa, Michele Scasserra, Nicola Eugenio Romagnuolo, Vincenzo Bizzarro, Antonio Chieffo, Angiolina Fusco, Gianfranco Vitagliano, Vincenzo Niro, Filoteo Di Sandro, Riccardo Tamburro, Giuseppe Sabusco, Nicola Cavaliere, Domenico Izzi, Franco Giorgio Marinelli, Lucio De Bernardo, Paolo Di Laura Frattura, Quintino Vincenzo Pallante, Massimo Romano, Felice Di Donato, Filippo Monaco, Salvatore Ciocca, Francesco Totaro, Michele Petraroia, Cristiano Di Pietro, Carmelo Parpiglia, Gennaro Chierchia, Danilo Leva, Cosmo Tedeschi;
Ministero dell'Interno, Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;

                                      e con l'intervento di

ad opponendum:
Beatrice Matalone, rappresentato e difeso dall'avv. Mariano Prencipe, con domicilio eletto presso la Segreteria della Quinta Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro 13;


sul ricorso numero di registro generale 5069 del 2012, proposto da:
Lucio Di Bernardo, Franco Giorgio Marinelli e Vincenzo Niro, rappresentati e difesi dagli avv. Anton Giulio Giallonardi, Greta Morelli e Giacomo Papa, con domicilio eletto presso Studio Placidi in Roma, via Cosseria, 2;

                                             contro

Nicola Pettorossi, Mariolga Mogavero, Michele Di Giglio, Giuseppe Di Gregorio, Francesco Di Biase, Pietro Ferrazzano, Simona Contucci, Costantino Manes, Fernando Mastrogiorgio, rappresentati e difesi dagli avv. Angelo Clarizia, Salvatore Di Pardo e Giuliano Di Pardo, con domicilio eletto presso Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2;

                                        nei confronti di

Regione Molise, Consiglio Regionale del Molise, Angelo Michele Iorio, Antonio Chieffo, Antonio D'Aimmo, Michele Scasserra, Riccardo Tamburro, Nicola Eugenio Romagnuolo, Giuseppe Sabusco, Angiolina Fusco, Gianfranco Vitagliano, Nicola Cavaliere, Filoteo Di Sandro, Domenico Izzi, Vincenzo Bizzarro, Paolo Di Laura Frattura, Quintino Vincenzo Pallante, Massimo Romano, Felice Di Donato, Filippo Monaco, Salvatore Ciocca, Francesco Totaro, Michele Pietraroia, Cristiano Di Pietro, Carmelo Parpiglia, Gennaro Chierchia, Danilo Leva, Cosmo Tedeschi;
Ufficio Centrale Regionale Presso La Corte di Appello di Campobasso, Ministero dell'Interno, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio Centrale Circoscrizionale Presso il Tribunale di Campobasso, Ufficio Centrale Circoscrizionale Presso il Tribunale di Isernia, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Luigi Velardi, rappresentato e difeso dagli avv. Michele Briamonte, Vincenzo Colalillo, Michele Marone, Enrico Follieri, Enrico Lubrano, Enzo Maria Marenghi, Filippo Lubrano, con domicilio eletto presso Filippo Lubrano in Roma, via Flaminia, 79/A; Mario Pietracupa, rappresentato e difeso dagli avv. Michele Briamonte, Filippo Lubrano, Enzo Maria Marenghi, Enrico Follieri, Michele Marone, Vincenzo Colalillo, Enrico Lubrano, con domicilio eletto presso Filippo Lubrano in Roma, via Flaminia, 79/A;

                                         per la riforma

tutti gli appelli :

della sentenza del T.a.r. Molise, Sezione I, n. 224/2012, resa tra le parti, concernente verbale di proclamazione degli eletti nelle consultazioni per l'elezione del presidente della Giunta e il rinnovo del Consiglio regionale del Molise del 16-17 ottobre 2011.

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti sopra indicate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 ottobre 2012 il Cons. Nicola Gaviano e uditi per le parti gli avvocati De Pascale, Clarizia, Giuliano Di Pardo, Salvatore Di Pardo, l'Avvocato dello Stato Varone, Follieri, Marenghi, Marone, Enrico Lubrano, Filippo Lubrano, Colalillo, Prencipe, Morelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


                                       FATTO e DIRITTO

Il 16 e 17 ottobre 2011 si svolgevano le operazioni per l’elezione del Presidente della Giunta e del Consiglio regionale del Molise.

Le consultazioni vedevano vincitore il candidato presidente Angelo Michele Iorio, con un totale di 88.811 voti personali validi (il 46,77% del totale) ed un distacco limitato a 948 voti dal primo dei non eletti, Paolo di Laura Frattura, il quale aveva ottenuto 87.863 voti personali validi (46,27% del totale).

Con due ricorsi di contenuto analogo al T.A.R. per il Molise proposti rispettivamente dal sig. Nicola Pettorossi, il primo, e dai sigg. Mariola Mogavero ed altri sette ricorrenti, il secondo, tutti agenti in qualità di cittadini elettori della Regione, venivano impugnati :

- il verbale di proclamazione degli eletti;

- i provvedimenti con i quali gli uffici avevano ammesso alla competizione elettorale le seguenti liste provinciali: PROGETTO MOLISE-IORIO PRESIDENTE; ALLEANZA DI CENTRO-PIONATI-ADC; CASINI-UNIONE DI CENTRO-UDC; GRANDE SUD; nonché la lista regionale IORIO PRESIDENTE-PER IL MOLISE;

- la riammissione da parte dell’ufficio elettorale regionale, alla competizione elettorale, della lista provinciale MOLISE CIVILE-REGIONE IN MOVIMENTO, nonché del candidato Nicola Eugenio Romagnuolo della lista PROGETTO MOLISE-IORIO PRESIDENTE;

- le operazioni elettorali e i verbali delle sezioni elettorali di Campobasso e Isernia, ivi comprese le tabelle di scrutinio e degli atti allegati, relativi a gran parte delle Sezioni elettorali.

In via principale, i ricorrenti domandavano l’annullamento integrale delle operazioni elettorali. In via subordinata, chiedevano la correzione dei risultati relativi alla consultazione e dei verbali di proclamazione degli eletti.

Con ambedue i ricorsi si sosteneva che candidato e liste sopra indicati, collegati al presidente eletto, avrebbero dovuto essere esclusi dalla consultazione, con la conseguenza che la loro partecipazione aveva comportato l’illegittimità dell’intera operazione elettorale.

Con il terzo motivo di gravame, inoltre, si assumeva che, anche a prescindere dall’illegittima ammissione delle indicate liste e candidati, le operazioni di voto e le successive verbalizzazioni sarebbero state caratterizzate da molteplici ed insanabili incongruenze, tali da inficiare l’attendibilità dell’esito elettorale.

Con il quarto motivo di ricorso, infine, si deduceva che il risultato elettorale sarebbe stato falsato da una serie di errori, sia nella fase di scrutinio da parte dei seggi che in quella di trascrizione da parte degli uffici provinciali e centrali, errori tali da invertire l’esito elettorale sottraendo al candidato Frattura ben 4.444 voti, con i quali sarebbe invece risultato vincitore.

I controinteressati, costituitisi in giudizio in resistenza alle impugnative, eccepivano la tardività dei primi motivi e comunque l’integrale infondatezza dei ricorsi avversari, e spiegavano a loro volta ricorso incidentale (deducendo l’illegittima attribuzione di voti al candidato presidente di Laura Frattura e la mancata attribuzione di voti al suo concorrente Iorio).

Il Tribunale adìto disponeva una verificazione istruttoria, incaricando della sua esecuzione le Prefetture di Isernia e Campobasso.

Nel corso dell’espletamento dell’incombente i ricorrenti rinunciavano al motivo di gravame a base della loro domanda subordinata, intesa alla correzione del risultato elettorale (mezzo sopra indicato come quarto motivo di ricorso).

All’esito del giudizio il Tribunale, con la sentenza n. 224/2012 in epigrafe, riuniti i due ricorsi, e dato atto della suddetta rinuncia parziale e della conseguente improcedibilità dei ricorsi incidentali spiegati dai controinteressati, accoglieva le impugnative principali, annullando la proclamazione degli eletti e gli atti presupposti sino alla fase di ammissione delle liste, che, pertanto, sarebbe dovuta essere interamente rinnovata.

Il Giudice locale riteneva infatti fondati:

- il motivo relativo all’illegittima ammissione della lista provinciale MOLISE CIVILE-REGIONE IN MOVIMENTO (che aveva ottenuto 7108 preferenze ed un candidato eletto al Consiglio regionale), per non avere questa raccolto il numero minimo di mille sottoscrizioni valide prescritto dall’articolo 9 della legge n. 108 del 1968, in quanto delle 1038 sottoscrizioni da essa presentate 23 erano “doppie”, 17 prive dell’autografia dell’ufficiale autenticatore, e 4 basate su un documento di identità inidoneo perché mancante di fotografia, con il risultato che le sottoscrizioni valide presentate dalla lista erano solo 994;

- il motivo secondo cui il sig. Nicola Eugenio Romagnuolo, candidato della lista provinciale PROGETTO MOLISE-IORIO PRESIDENTE eletto alla carica di consigliere regionale con 2895 voti, sarebbe stato illegittimamente ammesso alla competizione sulla base di un’invalida accettazione della candidatura, dal momento che la dichiarazione di autentica della sua sottoscrizione di accettazione della stessa candidatura era viziata dal fatto che il pubblico ufficiale autenticante non aveva indicato le generalità dell’autore della sottoscrizione da autenticare, bensì le proprie;

- il motivo, infine, relativo all’illegittima ammissione della lista provinciale CASINI-UNIONE DI CENTRO (che aveva riportato 9057 voti ed 1 consigliere eletto): la lista aveva depositato 1364 sottoscrizioni di presentatori, ma buona parte di esse (803) sarebbe stata raccolta, in violazione dell’articolo 9 della legge n. 108 del 1968, su fogli mobili privi del contrassegno della lista e delle generalità di tutti i candidati, in quanto i relativi moduli, pur presentandosi all’esito come collegati da punte metalliche e timbri di congiunzione ad un primo foglio contenente tutti gli elementi richiesti dall’articolo 9 cit., al momento dell’apposizione delle firme sarebbero stati, invece, separati tra loro e, soprattutto, da esso.

I motivi di ricorsi residui venivano assorbiti.

Avverso la decisione del Tribunale venivano proposti i presenti quattro appelli, rispettivamente: dalla Regione Molise; dai sigg. Michele Iorio (presidente eletto) ed altri, elencati in epigrafe, già resistenti in prime cure; dai sigg. Lucio De Bernardo, Franco Giorgio Marinelli e Vincenzo Niro, consiglieri regionali eletti su base circoscrizionale; infine, dal sig. Giovanni Camino, cittadino elettore.

Gli appellanti con i loro gravami riproponevano le eccezioni già sollevate nel primo grado di giudizio, e la sentenza del Giudice locale veniva censurata in rito e nel merito sotto molteplici profili.

Gli originari ricorrenti si costituivano in giudizio in resistenza agli appelli proposti dal sig. Camino e dai sigg. De Bernardo, Marinelli e Niro, deducendone l’inammissibilità, quanto al secondo appello, per tardività sotto più profili, e comunque l’infondatezza.

Gli originari ricorrenti riproponevano inoltre i motivi di ricorsi di primo grado finiti assorbiti.

Nei giudizi instaurati dai due appelli della Regione Molise e del sig. Iorio ed altri, invece, proponeva intervento ad opponendum la cittadina elettrice sig.ra Beatrice Mataloni. Questa eccepiva la nullità delle notifiche di tali due appelli ai ricorrenti di primo grado, siccome eseguite presso lo studio legale ove gli stessi erano stati domiciliati in prime cure, piuttosto che nel diverso domicilio da loro da ultimo eletto, ai sensi dell’art. 93 CPA, all’atto di notificare la sentenza oggetto d’appello. Da qui la dedotta inammissibilità dei due appelli ai sensi dell’art. 95 comma 2 C.P.A., per omessa notifica nel termine di impugnativa ad alcuna delle parti appellate aventi interesse a contraddire.

Le parti appellanti replicavano all’eccezione dell’interventrice opponendone l’infondatezza, e comunque la sanabilità del preteso vizio di notifica; veniva altresì eccepita l’ammissibilità dello stesso intervento della sig.ra Mataloni. La Regione Molise, ad ogni modo, riproponeva il proprio appello principale (investito dall’eccezione) sotto forma di appello incidentale, nell’ambito del giudizio scaturito dall’appello del sig. Iorio ed altri.

Nel contesto dell’appello dei sigg. De Bernardo, Marinelli e Niro si costituivano in giudizio anche i sigg. Luigi Velardi e Mario Pietracupa, consiglieri eletti nel c.d. listino, i quali, nel mentre condividevano la gran parte delle critiche mosse con l’atto di appello alla sentenza in epigrafe, si dissociavano dallo stesso appello dove vi si deduceva che gli effetti dell’annullamento giurisdizionale pronunciato avrebbero dovuto investire la sola posizione del presidente eletto e dei consiglieri regionali eletti nel listino, lasciando comunque indenni gli eletti su base circoscrizionale.

Nelle more, l’appellante Camino rinunziava al proprio gravame.

Le parti in causa sviluppavano ulteriormente le proprie tesi attraverso successive memorie.

All’udienza pubblica del 16 ottobre 2012 le cause sono state trattenute in decisione.

Osserva in via preliminare la Sezione che occorre disporre la riunione degli appelli in esame, siccome proposti avverso la stessa sentenza di primo grado, secondo la previsione dell’art. 96, comma 1, CPA.

Sempre in via preliminare, va subito dato atto dell’intervenuta rinunzia al proprio appello da parte del sig. Camino, e dichiarare per questa parte la conseguente estinzione del giudizio di secondo grado ai sensi degli artt. 35, comma 2, lett. c), 84, e 85, comma 9, dello stesso Codice.

Infine, va rilevata l’ammissibilità dell’intervento della sig.ra Mataloni, contestata dalle appellanti sul rilievo che la medesima, vigendo in materia elettorale una legittimazione universale (azione popolare), avrebbe avuto l’onere di attivarsi già al tempo del primo grado di giudizio. La Sezione ha infatti già avuto modo di osservare come anche in materia elettorale non possa dubitarsi in linea generale dell'ammissibilità dell'intervento in appello, tale facoltà essendo espressamente riconosciuta a chi ne abbia interesse ai sensi dell'articolo 97 C.P.A. (19 ottobre 2011, n. 5626; v. anche 5 febbraio 1993, n. 234). Tanto più che viene tradizionalmente riconosciuto nella stessa materia che l’elettore rimasto estraneo al giudizio di primo grado possa finanche proporre appello (cfr. ad es. V, 5 giugno 1991, n. 912; 8 maggio 2007 n. 2129).

Ciò posto, la Sezione ritiene di poter prescindere dall’esame delle molteplici eccezioni di inammissibilità opposte agli appelli in esame, stante l’infondatezza dei mezzi cui gli stessi appelli sono affidati.

E’ d’uopo partire dalla disamina dei motivi d’appello che sollevano problematiche di rito.

1a Anche in questa sede viene dedotto che i ricorsi di primo grado avrebbero dovuto essere reputati tardivi in quanto presentati solo dopo lo svolgimento delle elezioni. La loro proposizione, si assume, sarebbe dovuta avvenire, sul modello della tutela anticipata disegnato dall’art. 129 C.P.A., prima dello svolgimento della tornata elettorale.

La piana lettura del sistema integrato dagli artt. 129 e 130 C.P.A., tuttavia, rende evidente come l’onere di spiegare le impugnative introduttive di questo contenzioso, non rientrando esso nel nucleo di ipotesi contemplate dal primo di tali articoli (né per la natura dell’atto da gravare nello specifico, trattandosi di ammissioni, e non già di esclusioni; né per la natura dei soggetti ricorrenti, qui semplici cittadini elettori), non poteva sorgere se non alla conclusione del procedimento elettorale. L’art. 130 cit. comma 1, invero, è quanto mai chiaro nel disporre che, al di fuori dello specifico caso regolato dall’articolo che lo precede, “contro tutti gli atti del procedimento elettorale successivi all’emanazione dei comizi elettorali è ammesso ricorso soltanto alla conclusione del procedimento elettorale”: e ciò da parte di qualsiasi candidato o elettore dell’Ente della cui elezione si tratta (nello stesso senso cfr. anche l’art. 129 comma 2, naturalmente nella versione del tempo).

1b In proposito viene, inoltre, sostanzialmente reiterata la questione di legittimità costituzionale già sottoposta all’attenzione del Giudice di prime cure, senza però che gli argomenti svolti dal medesimo sul tema abbiano trovato alcuna forma di confutazione.

Il T.A.R ha difatti ritenuto inammissibile, ancor prima che manifestamente infondata, la questione di costituzionalità formulata dai controinteressati rispetto agli articoli 129 e 130, contestati nella parte in cui non estendono la possibilità di un’immediata impugnazione a tutti gli atti del procedimento preparatorio delle elezioni, senza limitarla agli atti di esclusione delle liste e dei candidati, e lì dove introducono solo una mera facoltà di immediata impugnazione, e non un onere, lasciando perciò ferma la possibilità di gravare gli atti di esclusione anche in seguito, unitamente alla proclamazione degli eletti.

In sostanza, l’interesse sotteso alla questione di costituzionalità sarebbe stato quello di far accertare almeno per questa via la tardività dei ricorsi principali, con i quali l’ammissione di alcune liste era stata impugnata solo al termine del procedimento elettorale.

Il Tribunale, però, dopo aver sottolineato che lo specifico degli atti di esclusione, cui si riferisce la particolare procedura di cui all’art. 129, è quello della loro immediata lesività, ha fatto notare che, anche nella (remota) ipotesi di un accoglimento della questione appena indicata mediante la pronuncia da parte della Consulta di una sentenza additiva, che introducesse l’onere, in luogo della semplice facoltà, di un’immediata impugnazione, estendendolo addirittura ad ogni elettore della Regione, e non solo ai candidati e delegati delle liste, e al contenzioso contro le altrui ammissioni, in ogni caso nel presente giudizio non ne potrebbe in alcun modo scaturire la tardività dei ricorsi principali, poiché un termine di decadenza non potrebbe comunque decorrere prima del momento in cui il relativo diritto avrebbe potuto essere fatto valere.

Per la considerazione appena fatta, che non ha trovato confutazione da parte delle appellanti, la questione di costituzionalità prospettata si presenta, quindi, priva di rilevanza rispetto al presente giudizio: agli originari ricorrenti, che hanno adito il Giudice, nel rispetto delle norme vigenti al momento della loro domanda, solo dopo la consultazione, non potrebbe essere in alcun modo opposta una retroattiva sanzione di decadenza per l’inadempimento di un supposto onere (quello dell’impugnazione anticipata) che, al tempo della loro iniziativa giudiziale, nessuna norma prevedeva.

2 Il T.A.R. ha altresì disatteso la tesi dei resistenti secondo la quale dal comma 9 dell’articolo 130 C.P.A. (“il tribunale amministrativo, quando accoglie il ricorso, corregge il risultato delle elezioni e sostituisce ai candidati illegittimamente proclamati coloro che hanno diritto di esserlo”) si desumerebbe che il G.A. potrebbe quando del caso correggere, ma non anche annullare le operazioni e gli esiti elettorali.

Gli appellanti ripropongono anche questa tesi, insistendo sull’assunto che in materia di elezioni sarebbe intestato al Giudice amministrativo solo un potere correttivo del risultato elettorale, e non anche un potere di annullamento.

In contrario, però, è agevole convenire con il primo Giudice e le parti appellate, in primo luogo, che la giurisdizione tradizionalmente definita come “estesa” al merito (così, ancora oggi, gli artt. 134 e 7 C.P.A.) corrisponde ad un’area in cui al Giudice sono attribuiti poteri di intervento aggiuntivi ed ulteriori (sui quali si è quindi comprensibilmente focalizzata l’attenzione del legislatore nella redazione della norma speciale) rispetto a quello puramente demolitorio: potere, questo secondo, la cui esistenza, essendo connaturale alla giurisdizione amministrativa di legittimità, non ha bisogno di essere ricordata ad ogni passo e in ogni articolo di legge.

Del resto gli stessi appellanti argomentano, a ben vedere, non tanto contro l’esistenza in senso assoluto di un potere giudiziale di annullamento, ma piuttosto contro l’ipotesi che venga pronunciato un annullamento “totale”, non potendo evidentemente non avvedersi che il potere correttivo presuppone logicamente ed include in sé un coestensivo potere (in primo luogo) annullatorio. Una volta ammessa anche in campo elettorale, pertanto, l’esistenza di un potere anche annullatorio, non sembra possibile sottrarsi alla conclusione che dalla natura ed estensione del vizio di legittimità accertato in concreto debba dipendere l’alternativa tra un annullamento parziale ed uno totale, senza che per questo secondo si possano immaginare delle preclusioni di principio che nessuna norma, d’altra parte, neppure lontanamente contempla.

E questo porta al secondo esatto rilievo di fondo mosso dal Tribunale contro l’eccezione in esame. La lettura proposta dagli appellanti presenta il difetto di lasciare (curiosamente) prive di tutela giurisdizionale proprio le fattispecie di irregolarità più gravi, in cui le operazioni elettorali siano state inficiate da vizi tanto radicali da non permettere l’applicazione del principio di conservazione, e da non lasciare alternativa al nuovo ricorso alle urne.

Sicché anche questo motivo degli appellanti si conferma privo di pregio.

3 E’ stato pure dedotto che il primo Giudice, con l’occuparsi della formale validità di “autentiche amministrative” (vale a dire, dell’autenticazione delle sottoscrizioni che erano state prodotte in sede di presentazione di una lista), avrebbe invaso l’altrui giurisdizione, esercitando una funzione estranea alla giurisdizione amministrativa e rientrante esclusivamente in quella ordinaria, sub specie di querela di falso.

L’incidente di falso riservato all’autorità giudiziaria ordinaria (art. 8 cpv. C.P.A.) investe, tuttavia, la valenza del documento pubblico sul terreno probatorio, sotto il profilo della sua materialità o del suo intrinseco contenuto (falsità materiale/ideologica), aspetti che non sono minimamente chiamati in causa allorché il Giudice amministrativo si limiti a verificare, in applicazione di norme che onerano i privati di presentare alla P.A. delle sottoscrizioni autenticate, se di simili documenti ricorrano in concreto gli estremi, e quindi possa dirsi adempiuto l’onere imposto dalla legge.

4 Viene poi apoditticamente affermata la nullità della procura ad litem accessiva ai ricorsi di prime cure per carenza degli elementi della data e luogo di rilascio.

L’insegnamento della giurisprudenza è tuttavia nel senso che la mancata indicazione della data del mandato professionale non comporta l'inammissibilità del ricorso quando il contenuto dell'atto consenta comunque di ricavare gli elementi essenziali per accertare il corretto conferimento dello jus postulandi (C.d.S., VI, 23 gennaio 2007, n. 236; analogamente, V, 20 dicembre 2001, n. 6320 ha affermato che la mancanza della data del mandato al difensore non rende inammissibile il ricorso quando la data stessa possa essere ricavata sulla base di altri elementi; in termini simili v. anche Cass.civ, Sez. I, 24 marzo 2006, n. 6687; 8 luglio 2004, n. 12568).

Poiché, inoltre, l'art. 83 c.p.c. non prescrive che il mandato speciale debba essere corredato dalla data di conferimento, per dimostrarne l'anteriorità rispetto alla notificazione del ricorso giurisdizionale è sufficiente la circostanza che esso figuri nella copia notificata, della quale l'ufficiale giudiziario abbia attestato la conformità all'originale (C.d.S., V, 19 maggio 1998, n. 635).

Va infine ricordata l’indicazione giurisprudenziale per cui, in caso di mandato apposto -appunto- a margine dell’atto introduttivo del giudizio, l’indicazione della precisa data di conferimento della relativa procura deve ritenersi superflua, in quanto questa è desumibile comunque aliunde (cfr. C.d.S., V, 8 settembre 1995, n. 1298; 17 aprile 2002, n. 2013; Cass. Civ., sez. lav., 13 giugno 2005, n. 12636).

Alla stregua di tali convergenti coordinate giurisprudenziali si manifesta priva di pregio la doglianza in esame, che si esaurisce nel dedurre formalisticamente la mancata apposizione di data al mandato, senza nulla aggiungere circa gli effetti che tale omissione avrebbe determinato.

Tanto meno può essere ritenuta causa di invalidità la semplice omessa indicazione del luogo di rilascio della procura ad litem, indicazione del resto non prescritta dalla legge, quando, come nella specie, l’autore dell’eccezione non fornisca la prova che il difensore nell’operare la relativa autentica abbia ecceduto la propria sfera di competenza territoriale (cfr. Cass. civ. SS.UU., sez. un., 28 febbraio 2007, n. 4634, in tema di parte residente all’estero).

5 Un’ulteriore doglianza in rito, formulata nell’appello proposto dai sigg. De Bernardo ed altri, attiene al fatto che il T.A.R. non si sia limitato ad annullare l’elezione del presidente e dei consiglieri eletti su base regionale, ma abbia esteso l’annullamento anche ai consiglieri eletti su base circoscrizionale, caducando così integralmente i risultati della consultazione. Il Tribunale sarebbe andato con ciò ultra petita, giacché –si assume- l’impugnativa originaria sarebbe stata rivolta esclusivamente avverso l’elezione del presidente. L’interesse fatto valere dai ricorrenti, inoltre, avrebbe ben potuto trovare tutela già attraverso un annullamento ristretto nei termini appena detti, con la conseguenza che la sua maggiore estensione non sarebbe neppure sorretta dall’interesse di parte.

La Sezione rileva che il TAR ha però rettamente inteso l’azione a suo tempo spiegata dagli attuali appellati, alla luce di molteplici elementi letterali, quale azione indirizzata principaliter proprio all’integrale caducazione delle operazioni elettorali, deponendo in tal senso testualmente tanto l’epigrafe quanto le conclusioni degli atti introduttivi di primo grado (cfr. le pagg. 2 e 81 del ricorso Petterossi), quanto, infine, le argomentazioni svoltevi (cfr. in particolare le pagg. 51-52) ed i relativi richiami giurisprudenziali di sostegno (v. ivi pag. 25).

Nessuna violazione al principio della domanda è dunque registrabile.

Indimostrato è poi rimasto l’assunto degli appellanti secondo il quale la portata integrale dell’annullamento non sarebbe stata sorretta dall’interesse dei ricorrenti, essendo invece emerso (basti pensare alla natura delle censure veicolate dal terzo motivo degli originari gravami) che l’interesse dedotto dai ricorrenti, cittadini elettori, si appuntava proprio sull’integrale annullamento delle operazioni elettorali.

Sicché anche questo mezzo risulta privo di pregio.

6 Viene pure riproposto il richiamo al principio codificato nell’art. 21 octies della legge n. 241/1990, secondo il quale, come è noto, non è annullabile il provvedimento pur affetto da violazione di norme sul procedimento o sulla forma quando, per la sua natura vincolata, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso.

La Sezione non può non convenire sulle premesse da cui il mezzo muove, quella della portata generale della regola legislativa appena ricordata e quella della natura vincolata del potere di ammissione delle liste alla consultazione. E’ invece il concreto presupposto ipotizzato dalla stessa norma a fare nella specie difetto.

Il procedimento cui occorre riferirsi ai fini della norma è, va da sé, quello di ammissione delle liste.

Fatta questa precisazione, è immediato avvedersi che la situazione che l’art. 21 octies ipotizza (il dispositivo provvedimentale non avrebbe potuto essere diverso) si verificherebbe, pur in presenza di un certo numero di sottoscrizioni affette da vizi e quindi non riconducibili alla fattispecie legale astratta, allorché la soglia di firme prescritta dalla normativa elettorale (nel caso di specie, pari a mille) sia stata comunque conseguita, e dunque assicurata.

Ben al contrario, invece, allorché il numero delle sottoscrizioni invalide sia, come nel caso concreto, tale da intaccare tale soglia minima, la conclusione che si impone è quella esattamente opposta all’esito invocato dagli appellanti, dovendosi appunto decidere nel senso dell’ineluttabilità dell’esclusione della lista (potere, appunto, vincolato).

7 E’ poi invocato, sempre al fine di neutralizzare gli effetti delle illegittimità che si vedranno emergere, il principio c.d. del raggiungimento dello scopo (ricavato, in radice, dall’art. 156 c.p.c.).

Si parte dall’osservazione che la ratio della disciplina sugli adempimenti richiesti al presentatore delle liste, e segnatamente sull’onere della raccolta di un determinato numero di firme di elettori, è quella di evitare liste del tutto prive di rappresentatività e fenomeni confusivi quale quello delle liste c.d. di disturbo: e su questa premessa viene dedotto che, le quante volte la lista comunque ammessa al voto abbia ottenuto nella consultazione un riscontro elettorale concreto (e le due liste di cui si tratta hanno conseguito un seggio ciascuna), l’emersa effettività del radicamento della lista dimostrerebbe che la ratio della normativa a monte è stata soddisfatta.

In altre parole, l’assunto di parte è che, una volta risultato che la lista ha una certa base nell’elettorato, i vizi attinenti alla sua presentazione perderebbero per ciò stesso ogni rilevanza.

In contrario, il T.A.R. ha fatto però esattamente notare come la fase della presentazione delle liste e della loro ammissione è del tutto distinta da quella, successiva, delle operazioni di voto; e soprattutto che il requisito del numero minimo di sottoscrizioni per ogni lista è stato inequivocabilmente prescritto dalla legge, e per ciò stesso se ne impone il rispetto.

La prospettazione delle parti appellanti, invero, per quanto non priva di carica suggestiva, porterebbe all’inaccettabile risultato pratico di una pura e semplice interpretatio abrogans della normativa del cui rispetto si tratta.

Una volta, difatti, che si accedesse all’idea, patrocinata dagli appellanti, che la dimostrazione postuma del radicamento di una lista ne impedirebbe l’esclusione (l’idea, quindi, del primato del responso elettorale sul rispetto delle regole da cui dipende la possibilità di sottoporsi ad esso), ragioni anche di parità di trattamento renderebbero non più possibile negare l’ammissione ad alcuna lista per ragioni connesse all’inadempimento degli oneri di cui si tratta. Il che è l’esatto contrario del principio espresso dall’art. 10 della legge n. 108/1968, che impone agli uffici di verificare “se le liste siano state presentate in termine, siano sottoscritte dal numero di elettori stabilito e comprendano un numero di candidati inferiore al minimo prescritto”, e all’eventualità negativa correla senz’altro la conseguenza dell’esclusione della lista, prevedendo che l’ufficio dichiari, appunto, “non valide le liste che non corrispondano a queste condizioni”.

E’ evidente, pertanto, come, finché viga la normativa invocata dagli originari ricorrenti a base dei loro gravami, non è consentito né all’Amministrazione né al Giudice della legittimità dell’azione amministrativa disapplicarla. Donde la conclusione che alle appellanti non giova nemmeno il richiamo al principio del raggiungimento dello scopo.

8 Esaurita la disamina dei motivi d’appello che sollevavano problematiche di rito, ci si deve dedicare ai mezzi diretti a contestare nel merito la pronuncia appellata.

9 Venendo quindi alle ragioni di illegittimità riscontrate dal primo Giudice nella consultazione, si può prendere le mosse da quelle concernenti l’ammissione della lista MOLISE CIVILE-REGIONE IN MOVIMENTO.

9a A tale lista è stato addebitato il mancato deposito del numero minimo, prescritto dalla legge, di mille sottoscrizioni conformi alla fattispecie legale, dal momento che queste ultime sono risultate solo 994.

Viene qui in rilievo, perciò, il dettato dell’articolo 9 della legge n. 108 del 1968, che ai commi 2 e 3 prevede che “le liste devono essere presentate: … b) da almeno 1.000 e da non più di 1.500 elettori iscritti nelle liste elettorali di comuni compresi nelle circoscrizioni con più di 100.000 abitanti e fino a 500.000 abitanti (è il caso della Regione Molise); …la firma degli elettori deve avvenire su apposito modulo recante il contrassegno di lista, il nome e cognome, il luogo e la data di nascita dei candidati, nonché il nome, cognome, luogo e data di nascita del sottoscrittore e deve essere autenticata da uno dei soggetti di cui all'art. 14 della L. 21 marzo 1990, n. 53; deve essere indicato il comune nelle cui liste l'elettore dichiara di essere iscritto”.

Il primo Giudice ha esattamente definito come dato incontrovertibile quello per cui la lista ha presentato in concreto un numero complessivo di 1038 sottoscrizioni, cifra che, oltre ad essere emersa in sede di verificazione (cfr. pag. 3 della relazione della Prefettura di Campobasso), è suffragata dall’indicazione fornita dagli stessi delegati della lista nel loro ricorso amministrativo avverso l’iniziale esclusione.

Ora, delle 1038 sottoscrizioni presentate dalla lista 23 sono risultate “doppie”, 17 prive della sottoscrizione dell’ufficiale autenticatore, e 4 corredate da un documento di identità inidoneo perché mancante di fotografia, con il risultato, appunto, che le sottoscrizioni valide tempestivamente presentate erano solo 994, numero inferiore alla soglia minima prescritta.

Da qui la decisione del T.A.R. di reputare illegittima l’ammissione della lista alla competizione elettorale.

9b Avverso tale decisione le appellanti argomentano in primo luogo mettendo in dubbio l’indicato numero totale di 1038 sottoscrizioni. Ciò ipotizzando che le 23 doppie sottoscrizioni, essendo già state eliminate dagli uffici, non sarebbero state oggetto di conteggio in sede di verificazione. Il numero totale anzidetto non sarebbe stato quindi inclusivo delle predette 23 schede. E lo stesso assunto è stato riproposto anche per le 17 sottoscrizioni non autenticate.

Tuttavia, tanto dai verbali degli uffici quanto dal verbale di verificazione si evince con ragionevole certezza come il numero complessivo più volte indicato esprimesse la totalità delle sottoscrizioni presentate dalla lista. Sicché le congetture espresse al riguardo dagli appellanti in modo solo ipotetico e senza allegare elementi di supporto non possono trovare seguito.

9c E’ stato altresì lamentato che in sede di verificazione non sarebbe stato accertato se alcune delle c.d. doppie sottoscrizioni giacessero per avventura, al tempo stesso, anche nell’elenco racchiudente le 17 sottoscrizioni prive di autentica, il che ridurrebbe il numero totale delle firme viziate.

Un rapido esame dei rispettivi elenchi (quello delle 23 doppie sottoscrizioni, leggibile nel verbale dell’Ufficio centrale circoscrizionale del 19 settembre 2011, e quello delle 17 firme non autenticate, racchiuso nell’all. 2 al verbale n. 2/395 del 30 gennaio 2012) fa peraltro emergere l’assenza di sovrapposizioni tra loro.

9d Viene poi rammentato che i delegati di lista avevano presentato ulteriori 30 sottoscrizioni autenticate all’Ufficio centrale in allegato alla loro opposizione del 18 settembre 2011 avverso l’iniziale esclusione, soggiungendosi che le relative autentiche erano state fatte già il precedente 14 settembre, e quindi prima della scadenza del termine di presentazione delle liste.

Le appellanti negano, inoltre, che per far ottenere in giudizio alla lista il computo anche di tali nuove 30 sottoscrizioni occorresse da parte loro presentare un ricorso incidentale, obiettando che il motivo di opposizione con cui si contestava l’esclusione di tali nuove sottoscrizioni era stato assorbito da parte dell’Ufficio centrale, che aveva accolto la loro opposizione sotto un diverso profilo.

Appunto per questa ragione, però, poiché gli uffici elettorali non hanno mai ammesso la nuova produzione di sottoscrizioni (prima espressamente esclusa dall’Ufficio centrale circoscrizionale, e indi divenuta oggetto di un motivo di opposizione all’Ufficio regionale finito, però, semplicemente assorbito, e dunque mai accolto), sarebbe stato onere degli appellanti impugnare la mancata ammissione amministrativa di tali firme proponendo un rituale e tempestivo ricorso incidentale.

Nel merito, ad ogni modo, l’Ufficio centrale circoscrizionale ebbe ad esprimersi inequivocabilmente (verbale del 19 settembre 2011), come si è visto, nel senso della non computabilità delle dette ulteriori sottoscrizioni, osservando come le medesime fossero pervenute solo oltre il termine perentorio che è dettato dall’art. 9, comma 1, della legge n. 108 del 1968 (ore 12 del ventinovesimo giorno antecedente quelli della votazione) per la presentazione delle liste, e non già per la mera autenticazione delle sottoscrizioni.

E tale valutazione di tardività, avverso la quale gli appellanti non hanno fornito valide argomentazioni, in questa sede non può che essere confermata.

Si obietta che la relativa produzione si sostanzierebbe in una mera integrazione della documentazione già prodotta, che dovrebbe ritenersi consentita. In contrario è però agevole osservare, per un verso, che il termine di presentazione di una lista è inequivocabilmente perentorio; per altro verso, che le sottoscrizioni degli elettori (diversamente dai semplici certificati elettorali) rivestono valore di elemento costitutivo essenziale dell’atto di presentazione di una lista. Onde l’ammissione di sottoscrizioni postume, ponendosi in flagrante contrasto con la natura perentoria della scadenza legale, non può che ritenersi preclusa..

9e Passando a dire delle 23 sottoscrizioni doppie, va sgombrato subito il terreno dall’eccezione secondo la quale i ricorsi di primo grado non avrebbero recato se non in forma del tutto generica la relativa contestazione. I ricorrenti di prime cure hanno inequivocabilmente dedotto anche la relativa irregolarità, illustrandola peraltro in modo sintetico (senza quindi trascrivere i nominativi degli elettori interessati) per il semplice fatto che la medesima era già stata rilevata dagli uffici elettorali (cfr. il verbale dell’Ufficio centrale circoscrizionale del 19 settembre 2011).

Anche nel merito, le deduzioni degli appellanti sono prive di pregio.

L’art. 9, comma 4, della legge n. 108 del 1968 stabilisce che nessun elettore può sottoscrivere più di una lista di candidati.

Da parte degli appellanti si fa notare che questa norma non detta un preciso criterio per stabilire, in caso di sottoscrizioni plurime, quale di esse debba prevalere. Sarebbe perciò possibile, in astratto, tanto far prevalere la prima sottoscrizione, quanto invece ammettere una facoltà di ripensamento e riconoscere la prevalenza della sottoscrizione successiva (che revocherebbe la precedente).

Rileva però la Sezione che gli uffici hanno seguito l’interpretazione basata sul primato della firma anteriore. E che tale interpretazione si presenta pienamente aderente al testo della norma..

Questa, infatti, disegna il divieto non in base ad elementi sostanziali attinenti alla volontà, per i quali potrebbe valere la regola secondo cui la manifestazione di volontà più recente sostituisce quella più antica, bensì invece al solo elemento formale della sottoscrizione. Ciò rende persuasi del fatto che, essendo violato il divieto per il solo fatto dell’apposizione di sottoscrizioni successive alla prima, è questa che prevale, restando irrilevante ogni indagine attinente alla volontà e ai suoi mutamenti.

Quanto alle modalità da seguire per l’accertamento della firma anteriore, gli uffici si sono rettamente attenuti (cfr. il verbale dell’Ufficio centrale circoscrizionale del 19 settembre 2011) alla razionale indicazione offerta sul punto dalle Istruzioni ministeriali, le quali attribuiscono valore decisivo al momento della presentazione delle liste. Gli uffici hanno invero fatto notare, da un lato, che la data della sottoscrizione o della relativa autenticazione, in mancanza di orario, in caso di sottoscrizioni plurime potrebbe ben essere la stessa (onde il criterio basato sulla rilevazione di tale data non sarebbe funzionale); dall’altro, che nel procedimento elettorale l’autenticazione assume rilevanza esterna proprio nel momento del deposito della lista. E gli appellanti non hanno offerto ragioni suscettibili di infirmare gli argomenti così addotti a sostegno dell’interpretazione seguita dall’Amministrazione, che può essere ritenuta corretta.

Gli appellanti, infine, enfatizzata la necessità di garantire al sottoscrittore la possibilità di un ripensamento, si spingono ad ipotizzare l’incostituzionalità del divieto per l’elettore di sottoscrivere più di una lista di candidati: con ciò verrebbe leso il valore della libera scelta dell’elettore (“…si determinerebbe la presentazione di una lista in contrasto anche con la sovrana volontà dell’elettore …”).

La questione così delineata è però manifestamente infondata. Non vengono presentate, invero, ragioni idonee a persuadere che l’invocata facoltà di ripensamento integri un diritto costituzionalmente protetto. L’importanza del voto, inoltre, e di riflesso quella della sottoscrizione di una lista, richiedono semmai che la volontà individuale dell’elettore si formi solo dietro adeguata ponderazione, che scongiura normalmente il rischio di immediati ripensamenti. Infine, nella complessa materia elettorale evidenti ragioni organizzative giustificano l’esclusione della possibilità di ammettere l’elettore a ripensamenti.

Per tutto ciò, la valutazione del primo Giudice si appalesa meritevole di conferma anche sulla non riconoscibilità alla lista in esame delle 23 sottoscrizioni doppie.

9f Si può ora passare a dire delle 4 autenticazioni di firma riconosciute invalide siccome basate su un documento personale mancante di fotografia (codice fiscale), e come tale inidoneo all’accertamento dell’identità del sottoscrittore.

Osservano gli appellanti che l’accertamento dell’identità individuale, che vale da presupposto dell’autenticazione, non necessariamente esige l’acquisizione di un documento di identità, potendo anche poggiare su una conoscenza personale del sottoscrittore. Si afferma quindi che nei casi qui in rilievo sarebbe ben possibile l’esistenza in concreto di una conoscenza diretta.

In contrario è però facile obiettare che da parte degli appellanti non viene indicato alcun elemento a sostegno della mera ipotesi che nelle fattispecie esistesse una conoscenza diretta tra autenticante e sottoscrittore, ipotesi, anzi, smentita proprio dal richiamo che il primo ha ritenuto di dover fare, nei casi in esame, ad un documento personale.

Quanto a quest’ultimo, poi, l’art. 35 del d.P.R. n. 445 del 2000 (“Documenti di identità e di riconoscimento”) ammette, sì, la possibile equipollenza alla carta d’identità di altri documenti rilasciati dall’Amministrazione, ma solo ove questi siano muniti “di fotografia e di timbro o altra segnatura equivalente”.

Sicché questa Sezione con la decisione n. 3212 del 18 giugno 2001, nel rimarcare l’essenzialità del corretto accertamento dell’identità della persona che sottoscrive, che potrebbe avvenire sia per conoscenza diretta che sulla base di un documento identificativo del sottoscrittore, ha già avuto modo di osservare che tale documento, per consentire un’effettiva identificazione, deve essere munito di fotografia, in difetto della quale le garanzie sostanziali non sono adeguatamente assicurate.

9g Venendo, infine, alle 17 sottoscrizioni mancanti della firma dell’ufficiale autenticatore, il T.A.R. in proposito ha preso doverosamente atto che l’intero elenco n. 6 presentava in calce una dichiarazione prestampata di autenticazione priva, però, di timbro e di firma (all. 2 al verbale di verificazione n. 2/395 del 30 gennaio 2012). Constatazione, questa, che non lasciava alternativa alla conclusione che, in carenza di sottoscrizione da parte del pubblico ufficiale, nessuna dichiarazione di autentica poteva dirsi intervenuta.

Da qui l’ineluttabilità dell’esclusione anche di tali 17 firme (C.d.S., V, 18 giugno 2001, n. 3212 : nelle operazioni di presentazione delle liste di candidati, l'autenticazione è requisito prescritto adsubstantiam per garantire la certezza della provenienza della presentazione da parte di chi figura aver sottoscritto la lista: è pertanto invalida la sottoscrizione che non sia supportata da un'autenticazione completa).

9h In conclusione, poiché la lista MOLISE CIVILE-REGIONE IN MOVIMENTO risulta essere stata presentata senza soddisfare la condizione del rispetto della soglia costituita dal numero minimo di mille sottoscrizioni, per essere solo 994 quelle risultate valide, si conferma l’illegittimità della sua ammissione alla consultazione (si rammenta che l’art. 10 della legge n. 108/1968 stabilisce che l'Ufficio centrale circoscrizionale, chiamato a verificare, tra l'altro, anche se le liste siano sottoscritte dal numero di elettori stabilito, deve dichiarare non valide le liste che non corrispondano a queste condizioni).

10 La Sezione può passare allora alla trattazione della legittimità dell’ammissione, parimenti controversa, della lista CASINI-UNIONE DI CENTRO.

In proposito si osserva quanto segue.

10a La lista è stata depositata con 1364 sottoscrizioni di presentatori, ma buona parte di esse (803) sarebbe state raccolta in violazione dell’articolo 9 della legge n. 108 del 1968. Secondo la doglianza degli originari ricorrenti, invero, le sottoscrizioni sarebbero state acquisite su fogli mobili non recanti il contrassegno della lista, il nome, cognome, data e luogo di nascita di tutti i candidati. I relativi moduli, infatti, sebbene oggi collegati da punte metalliche e timbri di congiunzione ad un primo foglio contenente tutti gli elementi richiesti dall’articolo 9 cit., al momento dell’apposizione delle firme sarebbero stati, invece, separati tra loro, e, soprattutto, dal predetto frontespizio.

10b In merito, il Tribunale ha premesso come dal verbale n. 4 del 2 febbraio 2012 della Prefettura di Campobasso fosse emerso, da un lato, che gli elenchi in questione recavano solo sul frontespizio il simbolo della lista e le altre indicazioni prescritte; dall’altro, che tutte le pagine risultavano tra loro spillate e congiunte da un timbro tondo dell’ente locale, lo stesso timbro posto a margine della sottoscrizione del pubblico ufficiale che aveva autenticato le firme.

Il primo Giudice ha però ritenuto che dalle modalità di sottoscrizione e di giunzione verbalizzate dalla Prefettura emergesse che, in effetti, “non v’è certezza sulla circostanza che, al momento della sottoscrizione, i fogli già fossero uniti tra loro e, soprattutto, al frontespizio contenente detti elementi.”

Il Tribunale ha puntualizzato che gli elementi formali di cui all’articolo 9 della legge n.108 del 1968 devono essere ritenuti essenziali, rispondendo ad una precisa forma di protezione che non ammette equipollenti. La presenza del simbolo e dell’elenco dei candidati, nei fogli destinati a raccogliere le sottoscrizioni, mira a garantire la consapevolezza e genuinità della scelta dei sottoscrittori, in ordine alla lista e ai candidati, nel preciso momento in cui si appongono le firme.

Secondo la valutazione legislativa, pertanto, ogni firma deve indefettibilmente essere apposta in un modulo contenente, tra l’altro, il simbolo della lista e l’elenco dei candidati di quest’ultima.

Ciò posto, il Giudice locale ha osservato che, in astratto, non basta a far ritenere rispettata la norma di legge la mera giunzione dei singoli fogli, ove non risulti in modo incontrovertibile che, già al momento delle sottoscrizioni, il singolo foglio - o altro foglio, unito però ad esso in precedenza - recasse il simbolo e l’elenco. E con riferimento alla fattispecie concreta lo stesso Tribunale ha affermato che nulla impediva di ritenere che il timbro e le spille di giunzione potessero essere stati apposti solo dopo l’acquisizione delle sottoscrizioni, avvenuta, sì, alla presenza del pubblico ufficiale, ma –si poteva ben ipotizzare- solo su fogli ancora isolati, ed in sé privi del simbolo della lista e dell’elenco dei candidati.

Tra gli elementi rilevati dalla Prefettura, si è rimarcato, mentre il timbro tondo dell’Amministrazione locale ha un rilievo neutro, non essendo evidenziato il momento in cui esso è stato apposto (con la spillatura dei fogli), viceversa la presenza di spillature pregresse (la Prefettura ha rilevato, appunto, che “per tutti gli elenchi esaminati risultano fori di spillature pregresse”) depone piuttosto in senso contrario ad una preventiva, stabile e definitiva unione dei fogli sin dal momento della sottoscrizione.

Il Tribunale ha osservato, inoltre, che, secondo la giurisprudenza, “ … allorché si utilizzino moduli diversi dal modello legale e privi delle indicazioni della lista e dei candidati, è perlomeno necessario che il frontespizio, contenente i dati della lista, sia collegato ai fogli spillati “tramite un richiamo sostanziale”, costituito da “scritte o simboli inequivocabili”, funzionali allo scopo del legislatore di assicurare che ciascun presentatore sia effettivamente cosciente di quanto sottoscrive, a garanziadella sua piena consapevolezza in ordine ai candidati cui si riferisce l'atto di presentazione (cfr. tra le tante, Tar Napoli, 14237 del 2010; Consiglio di Stato, n.6545 del 2006).

Nel caso di specie, è agevole rilevare che manca assolutamente alcun richiamo alla lista promossa, nei singoli fogli, diversi dal frontespizio e giunti ad esso con spille in metallo e con il timbro tondo dell’ente locale.

Inoltre, è d’importanza non secondaria evidenziare che, nel caso di specie, il pubblico ufficiale ha autenticato solo le firme apposte sui fogli privi del simbolo e dell’elenco dei candidati, poiché i frontespizi, inusualmente, non risultano completati e firmati (sono i primi fogli lasciati in bianco così come indicato nel ricorso); ciò ad ulteriore riprova della mancanza di collegamento, finanche mediante la mera dichiarazione di autentica (cosa che, lo si ribadisce, secondo la giurisprudenza,non sarebbe stata sufficiente, in mancanza di un collegamento sostanziale, su ogni foglio; non avendo, appunto, la mera autentica la funzione né l’idoneità ad attestare che i fogli, al momento della sottoscrizione, erano uniti al primo, contenente il simbolo e la lista).”

10c Le appellanti si sono dolute -con argomentazioni tra loro simili- anche di questo capo della decisione.

Esse hanno insistito sulla circostanza che i fogli mobili componenti l’elenco dei sottoscrittori figurano spillati e contrassegnati da timbri di congiunzione (il medesimo timbro usato per le autenticazioni, il che denoterebbe la contestualità dell’operazione di timbratura con quella di autenticazione), e che ogni frontespizio reca tutti gli elementi richiesti dall’art. 9 della legge n. 108/1968.

I secondi fogli, congiunti e timbrati, che costituirebbero una continuazione di tale prima pagina (cui sono avvinti), recano in alto la formula letterale che indica trattarsi del prosieguo dell’elenco dei sottoscrittori.

Si è dedotto, quindi, che nella specie ricorre tanto il requisito del collegamento materiale tra il frontespizio e gli altri fogli (costituito dalle spillature e dal timbro di congiunzione), quanto quello del collegamento “concettuale”, in quanto la dichiarazione di autenticazione reca indicazione del numero delle sottoscrizioni autenticate.

E’ stato poi puntualizzato, più in particolare (nell’appello della Regione), che la “despillatura” era servita semplicemente all’inserimento dei certificati elettorali collettivi (non timbrati, in quanto inseriti nel modulo, appunto, solo in un secondo tempo), operazione eseguita al fine di rendere più agevole la futura consultazione degli atti da parte degli uffici dell’Amministrazione.

Le appellanti hanno dunque concluso che gli atti della lista, per quanto articolati in più fogli, erano unitari e giuridicamente unici, nel senso che i fogli mobili, spillati e contrassegnati da timbri, erano già uniti al momento delle sottoscrizioni. Né vi era spazio per alcun sospetto di raccolta illegale di sottoscrizioni, sospetto che il primo Giudice aveva espresso solo a livello congetturale, essendovi, semmai, la certezza che i fogli fossero già uniti sin dal momento delle sottoscrizioni.

10d La Sezione ritiene di dover disattendere le deduzioni esposte nel paragrafo precedente, che non si rivelano sufficienti ad infirmare le motivate valutazioni espresse del primo Giudice e le risultanze su cui queste si fondano.

Ai sensi dell’articolo 9 della legge n. 108 del 1968, “La firma degli elettori deve avvenire su apposito modulo recante il contrassegno di lista, il nome e cognome, il luogo e la data di nascita dei candidati, nonché il nome, cognome, luogo e data di nascita del sottoscrittore e deve essere autenticata …”. E la giurisprudenza ha espresso da tempo l’orientamento per cui l’inottemperanza alla formalità appena indicata integra una causa di esclusione della lista dalla consultazione.

Secondo l'orientamento di questa Sezione, sviluppatosi soprattutto a margine della simile norma dell'art. 28 del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (cfr., ex multis, C.d.S., V, 3 marzo 2005, n. 835; 28 gennaio 2005, n. 187; n. 5011 del 2005), l’imposizione degli adempimenti formali in discussione persegue lo scopo di assicurare che i sottoscrittori abbiano una piena consapevolezza della lista che contribuiscono a presentare. La raccolta delle firme deve quindi essere effettuata con un modulo completo degli elementi prescritti, in modo da evitare che gli elettori possano firmare un foglio inidoneo a permettere il proprio collegamento logico ad una specifica formazione politica, senza consapevolezza di quale lista si tratti e di quale sia la sua concreta composizione (C.d.S., V, nn. 5925\2010, 81\2011 e 2453\2011).

Secondo una giurisprudenza parimenti consolidata (v. da ultimo la decisione della Sezione 17 aprile 2012 n. 2203), “quando non siano state rispettare le norme di garanzia per cui è causa non è consentita … alcuna indagine o verifica della consapevolezza nutrita dai sottoscrittori, ma la legge impone senz’altro agli uffici l’esclusione della lista”.

La giurisprudenza indubbiamente insegna, inoltre, che lo scopo voluto dalla legge deve reputarsi raggiunto anche quando, pur non insistendo le firme raccolte su un unico foglio, i diversi fogli che le racchiudano siano tuttavia collegati stabilmente fra loro con segni di congiunzione suscettibili di un apprezzamento obiettivo (anche in tal caso, infatti, il modello può considerarsi documentalmente unico, recando i segni inequivocabili della sua riconducibilità a una predeterminata lista elettorale): questo, più precisamente, quando le sottoscrizioni siano rese su fogli privi di contrassegno ma pur sempre “collegati” ai fogli recanti il contrassegno e le altre indicazioni prescritte mediante spillatura, e purché il collegamento sia assicurato mediante un timbro o una firma (V, 7 novembre 2006, n. 6544; n. 5925\2010; nn. 2552, 2556 e 2557/2011).

A questi fini, però, la rilevazione dell’esistenza, al momento della presentazione della lista, di spillature e timbrature, vale pur sempre a condizione che l’apprezzamento della fattispecie permetta di concludere con ragionevole certezza che attraverso tali accorgimenti, appunto, le sottoscrizioni siano state raccolte utilizzando ab origine un modello documentalmente unico, sì che la norma possa ritenersi rispettata. Meritano di essere richiamate, a questo riguardo, le decisioni della Sezione 11 gennaio 2011 n. 81, nel senso che occorre emergano nello specifico “indizi gravi, precisi e concordanti” che facciano propendere per l’avvenuto adempimento della prescrizione; 24 agosto 2010, n. 5925, che ha concluso per l’ammissibilità della singola lista osservando che “Dagli elementi emersi anche a seguito degli accertamenti istruttori compiuti si rileva … un collegamento certo fra la lista presentata, il suo contrassegno e le sottoscrizioni e dunque risulta raggiunto lo scopo prefissato dalla norma”; 27 ottobre 2005, n. 5985, che ha concluso altro caso in senso opposto osservando come “Nel caso in esame, invece, le predette modalità di presentazione della lista in questione non consentono alcuna certezza in merito alla consapevolezza che i sottoscrittori, all'atto della sottoscrizione stessa, fossero nella effettiva e piena conoscenza dei nominativi di tutti i candidati e del simbolo di lista che avrebbero sottoscritto; come più volte affermato dalla Sezione, invero, la ratio della norma è quella di assicurare la piena consapevolezza dei sottoscrittori in ordine alla lista”.

10e Ebbene, nella fattispecie concreta emergono dei profili di anomalia i quali escludono la possibilità di individuare un sicuro collegamento tra i frontespizi recanti le indicazioni prescritte dalla legge ed i fogli mobili racchiudenti le sottoscrizioni. Non vi è, in altre parole, alcuna certezza sul fatto che gli elettori, che hanno materialmente apposto le proprie sottoscrizioni sui fogli allegati, intendessero effettivamente e consapevolmente presentare proprio quella lista e quei candidati, con conseguente violazione della ratio della norma di assicurare la piena consapevolezza dei sottoscrittori.

10f Occorre a questo punto riepilogare gli indici di anomalia rinvenuti in sede di verificazione negli elenchi di cui si tratta.

Il dato di partenza, naturalmente, è quello che le sottoscrizioni sono state raccolte su fogli mobili in se stessi carenti delle indicazioni prescritte dall’art. 9 legge cit..

Al di là di tale dato, vale ricordare quanto segue.

In tutti gli elenchi oggetto di censura, la prima pagina utile per l’inserimento dei dati e delle firme dei sottoscrittori (quella subito successiva al frontespizio, che recava i dati prescritti) non è stata utilizzata, ma risulta barrata. Né le appellanti hanno fornito alcuna plausibile spiegazione di tale singolare circostanza, che già di per sé, ma tanto più se unita all’indizio costituito dalla “despillatura”, rende difficile far considerare i singoli fogli veicolanti le sottoscrizioni come stabilmente collegati con il frontespizio.

Negli stessi elenchi appaiono, inoltre, svariati fogli meramente intermedi che non risultano essere stati utilizzati per intero.

I certificati elettorali collettivi, poi, sono stati rilasciati nella maggior parte dei casi in data antecedente a quella dell’autenticazione delle firme degli stessi elettori. E questa anteriorità smentisce la giustificazione della “despillatura” tentata dalla Regione appellante: la quale, oltretutto, con il dedurre che i certificati elettorali erano stati inseriti nel modulo in un secondo tempo al fine di rendere più agevole la consultazione degli atti da parte degli uffici controllori, fa riferimento ad una finalità opinabile, che non avrebbe integrato una ragione sufficiente a giustificare un intervento di disarticolazione di un modulo che (si assume) era stato in precedenza stabilmente unificato, come prescritto, da timbri di congiunzione e spillature.

Né giova l’argomento delle appellanti per cui ciascuna autenticazione indicava il numero delle sottoscrizioni che ne formavano oggetto: ciò che potrebbe far presumere solo che i fogli recanti le firme erano tra loro uniti, ma non fornisce, invece, alcun indizio sulla pretesa unione dei medesimi al frontespizio corredato delle indicazioni prescritte.

10g Quanto precede permette di desumere, quindi, che nei moduli oggetto di valutazione non è affatto certo che a tempo debito fosse stato assicurato il necessario collegamento materiale (basti qui richiamare l’indizio contrario costituito dalle generalizzate tracce di “despillatura”). Né esiste alcun richiamo testuale o altra forma di collegamento “sostanziale” tra frontespizio e fogli mobili recanti le firme.

Tutto ciò contribuisce allora a delineare la concreta possibilità di ricostruire l’accaduto, diversamente da quanto sostengono le appellanti, nel senso che i singoli fogli siano stati uniti alla prima pagina (la sola, si ripete, contenente le indicazioni prescritte) solo dopo l’acquisizione delle firme.

Si registra, dunque, una situazione di incertezza di fondo, nella quale non si rinvengono elementi sufficienti a reputare assicurate per equivalente le formalità prescritte dal legislatore. E poiché è sulla lista che non si sia attenuta al rispetto puntuale della norma (raccogliendo, cioè, le firme su supporti cartacei recanti singolarmente le indicazioni prescritte) che incombe l’onere di dimostrare di avere seguito formalità di risultato equivalente, non resta che confermare la sussistenza anche di questa seconda causa di illegittimità (dovendosi infine escludere anche in questo caso che per gli originari ricorrenti vi fosse un onere di proporre querela di falso, posto che le loro allegazioni non chiamavano in causa sotto alcun profilo l’efficacia probatoria delle autenticazioni più volte menzionate).

10h Donde la correttezza della conclusione del T.A.R. che anche le firme che hanno promosso l’ammissione della lista CASINI-UNIONE DI CENTRO erano inferiori alla soglia stabilita dalla legge n.108 del 1968.

11 Resta da dire di un’ulteriore ragione di illegittimità rilevata dal Tribunale, quella che avrebbe inficiato l’ammissione alla consultazione del sig. Nicola Eugenio Romagnuolo, candidato della lista provinciale PROGETTO MOLISE-IORIO PRESIDENTE eletto alla carica di consigliere regionale con 2895 voti.

Questi sarebbe stato illegittimamente ammesso alla competizione, a causa dell’invalidità della sua accettazione della candidatura. La dichiarazione di autentica della sua sottoscrizione di accettazione della candidatura è stata difatti reputata viziata dal fatto che il pubblico ufficiale autenticante non aveva indicato, nell’occasione, le generalità dell’autore della sottoscrizione da autenticare, bensì le proprie.

Per questa parte le doglianze degli appellanti sono fondate.

Se è vero che l’autenticante, allorché il modulo utilizzato richiedeva di indicare le generalità del candidato, aveva indicato in loro vece le proprie, il relativo lapsus calami non toglie però: che la dichiarazione sottoscritta dal pubblico ufficiale, se letta unitamente a quella in calce alla quale era apposta, rivelava l’univoco significato di un’autenticazione della sottoscrizione del Romagnuolo; che la medesima autentica presentava gli elementi essenziali richiesti dalla legge ai fini del perfezionamento della relativa fattispecie, non avendo il manifesto errore del redattore compromesso in alcun modo la funzione tipica dell’atto.

Va tenuta nel debito conto, invero, la circostanza che l’autenticatore era vicesindaco dello stesso piccolo Comune (Casacalenda) dove il candidato era consigliere comunale (ed entrambi erano nati). Nessun dubbio si può quindi nutrire sul fatto che l’autenticatore fosse perfettamente a conoscenza dell’identità del candidato la cui firma autenticava.

Posta questa essenziale premessa, si può notare come il documento redatto soddisfacesse tutti i requisiti prescritti dall’art. 21, comma 2, del d.P.R. n. 445 del 28 dicembre 2000, dal momento che:

- l’autentica è stata redatta, sotto la precisa intitolazione “Autenticazione della firma del candidato che dichiara di accettare la candidatura nella lista provinciale”, di seguito alla sottoscrizione del candidato, dove erano inoltre inequivocabilmente già riportate le generalità di quest’ultimo;

- nel corpo dell’autentica si è attestato che la sottoscrizione del candidato era stata apposta in presenza dell’autenticatore;

- quest’ultimo ha contestualmente certificato essere vera e autentica la sottoscrizione apposta “alla sopra estesa dichiarazione di accettazione della singola candidatura individuale”, con ciò inequivocabilmente riferendosi, perciò, proprio alla sottoscrizione del Romagnuolo;

- l’autenticatore ha dichiarato la propria certezza dell’identità del dichiarante;

- il luogo e la data dell’autenticazione coincidevano con quelli della sopra estesa sottoscrizione;

- l’autentica è stata, infine, regolarmente firmata e timbrata dal suo compilatore, sulla cui identità non sussistono incertezze.

E’ poi avvenuto che l’autenticatore, in luogo di ripetere i dati anagrafici del candidato (che erano già riportati sullo stesso foglio, nella soprastante dichiarazione di accettazione della candidatura), abbia riportato i propri (per disattenzione reputando, evidentemente, che il modulo richiedesse di indicare i dati personali dell’autenticante anziché del soggetto identificato).

La ripetizione dei dati del candidato non era però essenziale ai fini della completezza dell’autenticazione, in un contesto in cui la volontà certificatrice dell’autore dell’autentica era sicura, la relativa formalità non poteva riferirsi se non alla sottoscrizione del Romagnuolo, e la certezza dell’identità di quest’ultimo era fuori discussione.

Da qui l’innocuità dell’errore commesso nell’omissione della ripetizione dei predetti dati, adempimento non specificamente prescritto dalla legge e neppure necessario, in concreto, ad assicurare la certezza dell’identità del soggetto (in un quadro dove la sicura conoscenza personale tra i due non richiedeva nemmeno l’indicazione di un documento di riconoscimento).

12 La fondatezza del motivo da ultimo esaminato nulla toglie, però, all’esistenza dei vizi di legittimità confermatisi nei paragrafi nn. 9 e 10 a carico dell’ammissione alle elezioni delle due liste MOLISE CIVILE-REGIONE IN MOVIMENTO e CASINI-UNIONE DI CENTRO.

Resta pertanto inevitabile confrontarsi (mutatis mutandis) con i motivi di appello che sono diretti a contrastare le conclusioni del primo Giudice sull’impatto invalidante dei vizi riscontrati sulle operazioni elettorali.

12a Le appellanti contestano che i vizi emersi abbiano potuto esplicare un’influenza perturbatrice sull’esito complessivo della consultazione.

Le deduzioni svolte in proposito si richiamano, in sintesi, alla circostanza che nell’ambito del procedimento elettorale regionale coabitano due sistemi elettorali diversi, il cui dualismo si riflette nel voto disgiunto nella disponibilità degli elettori. Per i quattro quinti degli eligendi opera, infatti, un sistema proporzionale, con liste concorrenti su circoscrizioni provinciali, mentre per il restante quinto vale un sistema maggioritario, con liste concorrenti su base regionale. Ed il voto disgiunto consente di separare e differenziare le rispettive scelte.

Viene poi sottolineata la diversità sostanziale del voto tra liste provinciali e presidente della Giunta, cui corrispondono sistemi distinti, in funzione dei quali sono espressi voti diversi.

Da tutto questo conseguirebbe l’impossibilità di estendere –in assenza di una norma che ciò consenta- i vizi di una lista provinciale ai voti della lista regionale, e quindi alla posizione del presidente designato.

L’eventuale invalidità del voto di lista non potrebbe inficiare l’ulteriore voto, comunque espresso, dall’elettore.

12b La Sezione ritiene tuttavia sostanzialmente condivisibili le valutazioni del Tribunale anche rispetto al tema delle conseguenze invalidanti delle illegittimità emerse.

Conviene preliminarmente precisare che ai fini in discussione non si tratta di “estendere” (praeterlegem, secondo gli appellanti) i vizi dei voti da una lista provinciale a quella regionale, bensì di verificare la possibile incidenza degli stessi vizi, sopra accertati, sulla consultazione nel suo insieme.

Ciò posto, al di là di ogni pur corretta considerazione tecnica sulla dualità dei sistemi elettorali che concorrono nella consultazione, la loro reciproca autonomia non deve essere enfatizzata. Non può infatti essere messo in discussione il nesso che comunque li collega, sul quale il primo Giudice si è già soffermato.

Allorché l’elettore si esprima solo in favore di una determinata lista circoscrizionale scatta, come è pacifico, una sorta di presunzione legale che egli abbia inteso votare anche per la lista regionale del candidato presidente collegata alla prima, alla quale quindi ope legis il voto si comunica (art. 2 della legge 23 febbraio 1995, n. 43).

Questo è certamente una ragione di ricaduta dell’illegittima partecipazione al voto della singola lista provinciale sul voto per il presidente. Ma non è l’unica.

Il Tribunale esattamente ha valorizzato, difatti, il punto che l’influenza che trae origine dal collegamento politico tra le liste si esercita, ancor prima, sulla formazione della volontà dell’elettore, quali che siano poi, in pratica, le modalità in cui il suo voto individuale si manifesterà (solo per la lista provinciale, o anche per il relativo candidato presidente).

Sembra indubbio, infatti, che, in concreto, per una certa frazione (pur di impossibile identificazione) dei voti che sono stati espressi, in forma congiunta, per una delle due liste illegittimamente ammesse e per il presidente risultato eletto, il voto in favore del presidente sia stato un voto indotto, espresso, cioè, per il fatto che tale candidato era espressione di una coalizione di forze politiche, la partecipazione tra le quali della lista votata era per l’elettore motivo determinante..

Per questa parte, dunque, in caso di ipotetica rinnovazione delle operazioni senza le liste indebitamente ammesse, l’eventualità di una reiterazione del voto in favore del medesimo presidente sarebbe tutta da verificare, atteso che i fattori che inducono l’elettore ad una particolare espressione di voto sono molteplici e di varia natura.

Per quanto detto, condivisibilmente il primo Giudice ha escluso il ricorso ad un’eventuale istruttoria tesa a verificare quanti, tra i voti congiunti, recassero, oltre alla preferenza di lista illegittima, anche un’espressa scelta per il presidente Iorio. Un simile incombente non avrebbe comunque mai potuto rivelare con precisione l’estensione del perturbamento che l’illegittima presenza delle due liste aveva apportato alle manifestazioni di voto in favore del candidato presidente (perturbamento più ampio, in ogni caso, per quanto testé detto, della mera somma dei voti espressi unicamente per le stesse due liste, in quanto inclusivo anche di una certa frazione dei voti espressi in forma congiunta in favore di una di tali liste e del candidato presidente collegato).

Per ragioni simili, tanto meno sarebbe stata risolutiva una verificazione intesa a censire i soli casi di coloro che, pur votando le due dette liste provinciali, si erano nel contempo avvalsi del voto disgiunto in favore del candidato presidente Frattura. Ciò avrebbe permesso di accertare di quanto anche quest’ultimo si fosse avvantaggiato, di fatto, dell’illegittima ammissione delle liste provinciali in questione. Si sarebbe però trattato di una limitata aliquota dei voti complessivamente confluiti alle due liste (in tutto, oltre sedicimila). Sicché sarebbe rimasto intatto ed impregiudicato, anche dopo una simile istruttoria, il problema di stabilire, in seno agli altri voti raccolti da tali liste, in che misura questi fossero stati condizionati dall’influenza perturbatrice delle illegittimità emerse.

E se è ben vero che una parte degli elettori che hanno dato la loro preferenza ad una delle dette due liste si sarebbe sempre espressa, anche in mancanza di esse, accordando il proprio voto alla medesima coalizione guidata dal candidato Iorio, sembra tuttavia innegabile che, molteplici essendo i fattori aggregativi del consenso elettorale (che non è determinato, tanto meno per le elezioni amministrative, soltanto da un metro di astratta “coerenza politica”), altra parte degli elettori avrebbe potuto tenere un comportamento diverso.

Si conferma, dunque, l’esattezza della notazione del primo Giudice che l’eliminazione ex post di una lista da una competizione elettorale determina un’insuperabile impossibilità di stabilire a chi quei voti sarebbero andati. Non essendoci più la lista (indebitamente ammessa) che tali voti aveva raccolto, il comportamento dei suoi elettori sarebbe sicuramente cambiato, ma non si può accertare in che modo, essendo dato di ragionare solo su mere ipotesi. Sicché i voti assegnati ad una lista illegittimamente ammessa sono ontologicamente dei voti incerti, che anche le ipotizzate verificazioni avrebbero lasciato tali.

12c Una volta confermata la ragionevolezza della decisione di non disporre (ulteriori) incombenti, non resta che soppesare l’influenza invalidante dei vizi emersi sulle operazioni elettorali alla luce dei dati già disponibili.

Orbene, a fronte di uno scarto tra i due schieramenti, nell’elezione diretta del Presidente della Regione, di appena 948 voti, si deve convenire sulla turbativa suscitata dall’illegittima ammissione delle due liste sopra indicate, collegate al vincitore, che nel loro complesso hanno raccolto, rispettivamente, 7.108 e 9057 voti.

L’effetto perturbante va infatti verificato alla stregua del rapporto esistente tra i voti attribuiti alla lista/e illegittimamente ammessa/e (collegata al candidato vincitore), da un lato, e lo scarto dei voti registrato tra i due candidati alla presidenza, dall’altro. Ed un siffatto effetto non può non essere rinvenuto, in concreto, allorché i suffragi raccolti dalla lista indebitamente ammessa superino largamente l’anzidetto scarto, sì da presentarsi in tal modo come suscettibili di alterare in maniera significativa il risultato della consultazione (per questa impostazione cfr., tra le altre, Sez. V, 31 marzo 2012, n. 1889; 20 marzo 2006, n. 1437; 18 giugno 2001, n. 3212 ; 7 marzo 2001, n.1343; 10 maggio 1999, n. 535).

Per quanto, infatti, non sia accertabile ex post quale sarebbe stato il comportamento degli elettori che hanno espresso a suo tempo il loro voto in favore di una delle due liste illegittimamente ammesse, ciò non toglie che nella vicenda in esame, in cui i voti complessivamente raccolti da queste sono stati superiori di circa 16 volte al divario registrato tra i due candidati alla presidenza, si imponga il fondato sospetto che l’esito della consultazione in assenza delle medesime liste avrebbe potuto essere diverso.

L’incidenza sull’esito elettorale della partecipazione al voto delle due liste, pur non esattamente individuabile (il che esclude che il presente giudizio possa sfociare in un intervento giurisdizionale meramente correttivo), è dunque tale da poter alterare in misura rilevante la posizione conseguita dalle altre forze politiche, fino a ribaltare, in definitiva, il risultato della consultazione.

Da ciò l’ineluttabilità della conferma della pronuncia annullatoria in epigrafe.

12d Per completezza, la Sezione vuole infine esaminare la possibilità di limitare l’annullamento giurisdizionale all’elezione del presidente e dei consiglieri eletti su base regionale, senza estenderlo anche ai consiglieri regionali eletti su base circoscrizionale. Questo benché il motivo all’uopo svolto nell’appello dei sigg. De Bernardo ed altri appaia basato (si veda, oltre al contenuto del relativo appello, con particolare riguardo al suo quarto mezzo, la ricapitolazione contenuta nella memoria degli appellanti del 27 settembre 2012, alla pag. 2) unicamente sull’invocazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e sull’assunto che un integrale annullamento non sarebbe stato sorretto dall’interesse dei ricorrenti, basi giuridiche già rivelatesi prive di consistenza nel paragrafo n. 5, dove il motivo è stato respinto.

I vizi di legittimità riscontrati nella consultazione in controversia hanno investito, come si è visto, non solo l’elezione del presidente, ma anche, ed in primis, quella dei componenti l’organo consiliare, nelle sue due componenti elette con metodo proporzionale (per quanto di ragione) e maggioritario.

Ciò premesso, esiste un dato normativo che prevede la contestualità dell’elezione del presidente della Giunta regionale rispetto a quella del relativo Consiglio (art. 5, comma 1, legge cost. n. 1 del 22 novembre 1999); e va pure ricordata la disposizione costituzionale (art. 126 comma 3) che prevede, quale conseguenza della cessazione dalla carica del presidente della Giunta eletto a suffragio diretto, lo scioglimento dello stesso Consiglio.

Tanto suffraga l’idea di fondo dell’unitarietà delle relative elezioni, al di là del dualismo di sistemi previsto per la copertura della totalità dei seggi consiliari.

Una rinnovazione delle operazioni elettorali solo parziale, del resto, non sarebbe coerente con il dato della centralità oggettivamente rivestita dall’elezione presidenziale nel quadro dell’intera consultazione.

Una volta, infine, che insorga la necessità di richiamare alle urne l’intero corpo elettorale regionale, con tutte le conseguenze anche pratiche che ciò comporta, non è persuasivo invocare il principio di conservazione per limitare la portata di questa nuova consultazione del corpo elettorale alla sola scelta del presidente della Giunta e di una frazione dell’organo consiliare.

Quanto precede conduce, dunque, alla conferma dell’annullamento delle operazioni elettorali stabilito dalla sentenza appellata, salva la correzione della motivazione quanto all’elezione del candidato Romagnuolo.

13 In conclusione, mentre l’appello proposto dal sig. Giovanni Camino deve essere dichiarato estinto a seguito di rinuncia, i restanti appelli devono essere respinti.

Sussistono, tuttavia, ragioni tali da giustificare la compensazione delle spese processuali del presente grado di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), riuniti gli appelli in epigrafe, definitivamente pronunciando sui medesimi così provvede :

- dichiara l’estinzione del giudizio a seguito di rinuncia con riferimento all’appello proposto dal sig. Giovanni Camino.

- respinge i rimanenti appelli.

Compensa tra le parti le spese processuali del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini, Presidente

Francesco Caringella, Consigliere

Carlo Saltelli, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore

                                     
                                             DEPOSITATA IN SEGRETERIA

                                         Il 29/10/2012

                                         IL SEGRETARIO

                                (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Nessun commento: