venerdì 25 gennaio 2013

Fare banca in Molise

La parola 'crescita' è senz'altro tra le più gettonate di questa campagna elettorale. Qualsiasi candidato di qualsiasi schieramento ne propugna l’essenzialità  per il benessere comune, sciorinando la lista dei possibili motivi per cui essa latita.









Ma cos’è esattamente la crescita? Come si ottiene? Soprattutto, è sempre sintomo di maggior benessere? Vediamo di andare oltre la cortina fumogena delle parole e capire meglio.

Innanzitutto è bene tener presente un concetto di fondo: il PIL – feticcio dei nostri difficili tempi – non sempre è un indicatore affidabile per determinare il benessere economico di una comunità; se così è, evidentemente, nemmeno i movimenti rialzo (la crescita) o al ribasso (la recessione) del PIL sono precise fotografie della realtà.

Perché? Può soccorrere un semplice esempio:

Si immagini una famiglia qualsiasi composta da marito, moglie e un figlio; si immagini che entrambi i genitori abbiano un lavoro, per il quale fruiscano di una retribuzione fissa e sufficiente a garantire un’esistenza dignitosa; si immagini infine che i genitori decidano di attribuire al figliolo di punto in bianco una paghetta settimanale pari – su base annua – al 5% del proprio reddito complessivo e che per farlo intacchino i risparmi accumulati nel tempo.

Giudicati in base al buon senso – strumento molto più affidabile di una laurea in economia – i due genitori stanno commettendo un errore grossolano, poiché peggioreranno la propria situazione patrimoniale per consentire al ragazzo qualche serata spensierata; giudicati secondo i parametri comunemente utilizzati dai tecnici della Bocconi, i due sono dei virtuosi del buon governo, poiché, almeno per il primo anno, stanno accrescendo il PIL della famigliola del 5% dando una spinta ai consumi. Il fatto che la spesa da consumo sia pressoché improduttiva per la famiglia e che, sostanzialmente, si stia assistendo a un banale “spostamento” di danari da un portafoglio all’altro non cambia le cose: il PIL è cresciuto, evviva!

Proprio così:il PIL non tiene conto delle variazioni degli stock di ricchezza (debito e patrimonio) e, soprattutto, non è in grado di dirci alcunché sulla “qualità” del reddito prodotto (vi ricordate i favolosi anni ’80 di Craxi? Sembrava crescita e invece erano assegni scoperti...!)

Tornando alla nostra famigliola è di tutta evidenza che ben altri vantaggi potrebbero ottenersi se i due genitori decidessero di destinare la stessa quota di reddito al finanziamento dei futuri studi universitari del ragazzo: il sacrificio di qualche pizza potrebbe portare un bel titolo di studio, un buon reddito aggiuntivo (reale, questa volta) e un accrescimento permanente dello stock di ricchezza.

Abbiamo così  introdotto un secondo importante concetto: la riduzione dei consumi non è necessariamente un male, specie se si accompagna all’incremento del risparmio; quest’ultimo, infatti, consente il finanziamento degli investimenti necessari ad assicurare un cospicuo e duraturo incremento di ricchezza e produttività nel lungo periodo.

Così siamo arrivati al punto fondamentale: il Governo – qualsiasi governo, in primis quello regionale – ha il fondamentale dovere di favorire l’accumulazione del risparmio e l’impiego dello stesso sul territorio per finanziare gli investimenti. Solo una politica orientata a questo risultato può consentire quegli incrementi di produttività necessari a una crescita duratura e a una maggiore occupazione.

Il principale strumento per raggiungere questo risultato è possedere un sistema bancario degno di questo nome e, nonostante i grandi problemi degli ultimi tempi, il Paese è in linea con gli standard europei.

Assai differente è la situazione della Regione.

Il Molise è preda di banche con la 'testa' in altre latitudini: su un totale di 144 sportelli bancari, solo 9 fanno capo alle tre aziende di credito regionali e, a fronte di  una ricchezza finanziaria residente di circa € 15 miliardi, quelle stesse tre aziende raccolgono meno di € 200 milioni (bilanci 2011).

Nulla più  che briciole. Numeri da paese coloniale.

Ciò premesso e posto che il Governo regionale non può vietare “l’esportazione” di danaro fuori dai confini del Molise, qual è il rimedio?

Un primo possibile passo, al solito, è costituito dalla riorganizzazione del comparto: che ci facciamo con tre micro-banche, nessuna in grado di competere seriamente con i colossi predatori di Milano? Che ci facciamo con una finanziaria regionale poco più grande di uno sportello di medie dimensioni?

Nulla o meglio, molto meno ti quello che serve.

Le cose potrebbero cominciare a cambiare se la Regione promuovesse e guidasse l’aggregazione di quei soggetti in un unico polo creditizio locale, con struttura cooperativa e ambizioni di investimento e sviluppo del territorio. Pensateci: una sola banca con 50-60 milioni di patrimonio, sportelli su tutto il territorio, una governance da public company e il presidio governativo a garanzia della legalità e della vocazione localistica.

Un’azienda del genere, se ben gestita, avrebbe le dimensioni minime necessarie per attrarre altri investitori privati e, soprattutto, patrimonio a sufficienza per erogare fidi degni di questo nome: sarebbe, in altre parole, l’unica banca realmente in grado di garantire l’assistenza che l’impresa molisana merita e che oggi le banche nazionali non concedono, impegnate come sono a portare i nostri soldi verso lidi più remunerativi e meno rischiosi di quelli nostrani.

Ancora una volta si tratterebbe di un intervento a costo zero, la cui unica difficoltà  reale consiste nel mettere d’accordo i consigli di amministrazione e i soci di ciascuna 'banchetta': è possibile immaginarlo nella nostra piccola ma assai litigiosa Regione? Non lo so, ma so che trasformare il risparmio dei molisani da terra di conquista a motore di sviluppo è possibile e, sicuramente, vale la pena provarci.

  
Lucio Di Gaetano

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