Mentre l’Isernia bene e d’abbene, pone la sua attenzione sui
corsi principali addobbati a festa e lo struscio dei pennelli sui lampioni quasi finiti, riverniciati a nuovo, sono
coperti dal rumore metallico delle transenne che invadono i corsi principali in
attesa del passaggio dell’erede di Pietro; nessuno fa caso che a pochi metri da
corso Garibaldi, nel retro del capannone delle ferrovie ex scalo merci, quello
esposto e occultato dall’altra struttura delle ferrovie, divenuta “officina
della cultura”, si consuma quotidianamente e da mesi oramai: la saga della
povertà assoluta.
Tra escrementi, bottiglie semivuote, cartoni e pagliericci,
4 uomini di origine rumena vivono là, dormono e bivaccano all’addiaccio nelle
quattro stagioni che il padreterno comanda.
Nelle notti fredde accendono il fuoco, per quel necessario tepore
che rende sopportabile il gelo nei sacchi a pelo, nella solitudine di una vita
di stenti che rasenta l’inferno in terra, a pochi metri dall’opulenza, da case
calde e figli viziati.
Ecco come siamo ridotti, nella più miserabile della
considerazione umana, tutte le istituzioni sanno e tacciono, in uno scarica
barile di competenze che meraviglia chi ci informa delle numerose segnalazioni
effettuate e delle altrettante lavate di mano dei preposti a risolvere il
problema.
Intanto ogni sera, dopo che l’ultimo treno transita in
stazione, i 4 si avviano verso la loro casa all’aperto, inforcano
trasversalmente l’unico passaggio a livello cittadino, per raggiungere quel
luogo inospitale, ma tranquillo, dove possono anche ubriacarsi per non pensare
allo stato di degrado a cui sono costretti.
Il giorno seguente, alle prime luci dell’alba, prima che il sorvegliante
della stazione apra le porte ai viaggiatori, vanno via in attesa di
elemosinare, all’apertura dei supermercati, i pochi spiccioli di euro per la
sopravvivenza.
Come in un girone infernale dantesco, la loro vita si
trascina di giorno in giorno, in attesa che possa giungere il miracolo.
In questa città così
perbenista, sperano che qualcuno si svegli e si accorga di loro e delle poche
esigenze che essi hanno.
E la cronaca della bontà e dell’ospitalità si fa mediatica e
si gonfia di associazionismo disponibile alla carità, con l’arrivo di migranti
col guadagno certo e certificato delle strutture ospitanti, nella garanzia di
sopravvivenza degli ospiti che godono di protezione e del necessario per
sopravvivere.
Nel nostro caso no, è una rogna per tutti, nessuna
salvaguardia per i nostri 4 poveri cristi, fino a ieri extracomunitari e oggi
cittadini europei.
Dove sono le istituzioni, le associazioni umanitarie, le
dame della carità e della bontà, si sono perse nell’ultima intervista “spara pose”
sul loro impegno indefesso al servizio dei protetti migranti, paladine della
facile carità?
Qui non ci sono.
Ad un passo dal loro
naso, vige l’omertà, la mancata considerazione di vite in stato di bisogno
assoluto.
A pochi metri dalla modernità, si sprofonda nel becero medioevo.
P.T.
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