Dal 2008 hanno cessato l’attività 415 mila autonomi. Crollo dei lavoratori in proprio: ovvero artigiani, commercianti e agricoltori: -345.000. Particolarmente critica la situazione in Sardegna e in Calabria. Sulle microimprese pressione fiscale media attorno al 50 per cento.
Le cause della protesta di questi giorni sono molteplici, tra queste vi è la situazione di criticità che attanaglia il lavoro autonomo. Le difficoltà che hanno colpito il mondo delle partite Iva emergono in maniera evidentissima da un semplice confronto: tra il 2008 (inizio della crisi) e il settembre di quest’anno (ultimo dato disponibile) hanno chiuso l’attività ben 415.000 partite Iva. I più colpiti da questa moria sono stati i lavoratori in proprio, ovvero gli artigiani, i commercianti e gli agricoltori: infatti, nello stesso periodo sono diminuiti di 345.000 unità.
In quasi sei anni di crisi economica, la variazione dell’occupazione degli indipendenti è stata del -7 per cento. Nel medesimo periodo, per ogni cento lavoratori autonomi, quasi 8 hanno chiuso i battenti.
A denunciare lo stato di difficoltà del mondo del lavoro autonomo e delle microimprese è la CGIA.
“A differenza dei lavoratori dipendenti – fa notare il segretario della CGIA Giuseppe Bortolussi – quando un autonomo chiude l’attività non dispone di alcuna misura di sostegno al reddito. Ad esclusione dei collaboratori a progetto che possono contare su un indennizzo una tantum, le partite Iva non usufruiscono dell’indennità di disoccupazione e di alcuna forma di cassaintegrazione o di mobilità lunga o corta. Spesso si ritrovano solo con molti debiti da pagare e un futuro tutto da inventare”.
Una situazione di difficoltà, ricordano dalla CGIA, che, purtroppo, ha mantenuto la pressione fiscale media a carico di queste piccolissime realtà attorno al 50 per cento.
“In proporzione – prosegue Bortolussi – la crisi ha colpito in maniera più evidente il mondo delle partite Iva rispetto a quello del lavoro dipendente. In termini assoluti, la platea dei subordinati ha perso 565.000 lavoratori, mentre in termini percentuali è diminuita solo del 3,2 per cento, con una quota del numero dei posti di lavoro persi sul totale della categoria pari al 3,3 per cento. Tassi, questi ultimi, che sono meno della metà di quelli registrati dai lavoratori indipendenti”.
Analizzando tutti i profili professionali che costituiscono il cosiddetto popolo delle partite Iva, si nota che la contrazione più significativa è avvenuta tra i lavoratori in proprio: vale a dire tra gli artigiani, i commercianti e gli agricoltori. In questi ultimi cinque anni e mezzo sono diminuiti di 345.000 unità, pari ad una contrazione del 9,6 per cento.
Male anche l’andamento dei coadiuvanti familiari, ovvero i collaboratori familiari: la riduzione è stata di 78.000 unità (-19,4 per cento). Anche i collaboratori occasionali o a progetto hanno subito un deciso ridimensionamento: la riduzione occupazionale è stata di 73.000 unità (-15,7 per cento).
Analogamente, gli imprenditori, vale a dire i soggetti a capo di attività strutturate con dipendenti, sono diminuiti di 35.000 unità (-12,4 per cento). Le uniche categorie che hanno registrato risultati positivi sono stati i soci delle cooperative (+ 2.000 unità, pari al +4,4 per cento) e, soprattutto, i liberi professionisti. Il numero degli iscritti agli ordini e ai collegi professionali sono aumentati di ben 115.000 unità (+9,8 per cento).
“La tendenza positiva fatta segnare dai liberi professionisti – conclude Bortolussi – potrebbe essere riconducibile sia all’aumento del numero di coloro che hanno deciso di mettersi in proprio non avendo nessun’altra alternativa per entrare nel mercato del lavoro, sia all’incremento delle cosiddette false partite Iva. In riferimento a quest’ultimo caso, ci si riferisce, ad esempio, a quei giovani che in questi ultimi anni hanno prestato la propria attività come veri e propri lavoratori subordinati, nonostante fossero a tutti gli effetti dei lavoratori autonomi. Una modalità, quest’ultima, molto praticata soprattutto nel Pubblico impiego”.
Infine, segnala la CGIA, a livello territoriale è stata la Sardegna a registrare la caduta occupazione più forte tra gli autonomi (-15 per cento). Male anche la Calabria (-13,1 per cento) e la Valle d’Aosta (- 12,5 per cento). Segno positivo, invece, solo per il Veneto (+0,4 per cento) e l’Abruzzo (+0,9 per cento).
In quasi sei anni di crisi economica, la variazione dell’occupazione degli indipendenti è stata del -7 per cento. Nel medesimo periodo, per ogni cento lavoratori autonomi, quasi 8 hanno chiuso i battenti.
A denunciare lo stato di difficoltà del mondo del lavoro autonomo e delle microimprese è la CGIA.
“A differenza dei lavoratori dipendenti – fa notare il segretario della CGIA Giuseppe Bortolussi – quando un autonomo chiude l’attività non dispone di alcuna misura di sostegno al reddito. Ad esclusione dei collaboratori a progetto che possono contare su un indennizzo una tantum, le partite Iva non usufruiscono dell’indennità di disoccupazione e di alcuna forma di cassaintegrazione o di mobilità lunga o corta. Spesso si ritrovano solo con molti debiti da pagare e un futuro tutto da inventare”.
Una situazione di difficoltà, ricordano dalla CGIA, che, purtroppo, ha mantenuto la pressione fiscale media a carico di queste piccolissime realtà attorno al 50 per cento.
“In proporzione – prosegue Bortolussi – la crisi ha colpito in maniera più evidente il mondo delle partite Iva rispetto a quello del lavoro dipendente. In termini assoluti, la platea dei subordinati ha perso 565.000 lavoratori, mentre in termini percentuali è diminuita solo del 3,2 per cento, con una quota del numero dei posti di lavoro persi sul totale della categoria pari al 3,3 per cento. Tassi, questi ultimi, che sono meno della metà di quelli registrati dai lavoratori indipendenti”.
Analizzando tutti i profili professionali che costituiscono il cosiddetto popolo delle partite Iva, si nota che la contrazione più significativa è avvenuta tra i lavoratori in proprio: vale a dire tra gli artigiani, i commercianti e gli agricoltori. In questi ultimi cinque anni e mezzo sono diminuiti di 345.000 unità, pari ad una contrazione del 9,6 per cento.
Male anche l’andamento dei coadiuvanti familiari, ovvero i collaboratori familiari: la riduzione è stata di 78.000 unità (-19,4 per cento). Anche i collaboratori occasionali o a progetto hanno subito un deciso ridimensionamento: la riduzione occupazionale è stata di 73.000 unità (-15,7 per cento).
Analogamente, gli imprenditori, vale a dire i soggetti a capo di attività strutturate con dipendenti, sono diminuiti di 35.000 unità (-12,4 per cento). Le uniche categorie che hanno registrato risultati positivi sono stati i soci delle cooperative (+ 2.000 unità, pari al +4,4 per cento) e, soprattutto, i liberi professionisti. Il numero degli iscritti agli ordini e ai collegi professionali sono aumentati di ben 115.000 unità (+9,8 per cento).
“La tendenza positiva fatta segnare dai liberi professionisti – conclude Bortolussi – potrebbe essere riconducibile sia all’aumento del numero di coloro che hanno deciso di mettersi in proprio non avendo nessun’altra alternativa per entrare nel mercato del lavoro, sia all’incremento delle cosiddette false partite Iva. In riferimento a quest’ultimo caso, ci si riferisce, ad esempio, a quei giovani che in questi ultimi anni hanno prestato la propria attività come veri e propri lavoratori subordinati, nonostante fossero a tutti gli effetti dei lavoratori autonomi. Una modalità, quest’ultima, molto praticata soprattutto nel Pubblico impiego”.
Infine, segnala la CGIA, a livello territoriale è stata la Sardegna a registrare la caduta occupazione più forte tra gli autonomi (-15 per cento). Male anche la Calabria (-13,1 per cento) e la Valle d’Aosta (- 12,5 per cento). Segno positivo, invece, solo per il Veneto (+0,4 per cento) e l’Abruzzo (+0,9 per cento).
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