mercoledì 18 dicembre 2013

Le ragioni della protesta del movimento 9 dicembre

L’intervento di Giuseppe Bortolussi. Le manifestazioni di protesta di questi ultimi giorni hanno assunto delle dimensioni che inizialmente nessuno immaginava. Voglio essere chiaro: non è mia intenzione appoggiare o sostenere questa iniziativa e condanno qualsiasi forma di violenza fisica, verbale e di prevaricazione verificatesi un po’ ovunque.





Tuttavia, non possiamo disconoscere come il movimento del nove dicembre sia cresciuto con il passare dei giorni e abbia coinvolto persone di estrazione sociale molto diverse fra loro. Studenti, cassaintegrati, casalinghe, disoccupati, esodati, lavoratori autonomi e piccoli imprenditori si sono ritrovati assieme per esternare tutta la loro rabbia e disperazione contro una politica che non è più in grado di dare alcuna risposta ai problemi reali del Paese. Certo, oltre la protesta c’è poco altro, manca una piattaforma rivendicativa, ma è altrettanto indubbio che queste persone hanno ragione da vendere.

Con un livello di disoccupazione che ha superato abbondantemente il 12 per cento, con un esercito di cassaintegrati che rischia, una volta terminata l’erogazione del sussidio, di ritrovarsi per strada, con una pressione fiscale che ha raggiunto quest’anno un picco mai toccato in passato, è da meravigliarsi che questa reazione così decisa non sia avvenuta prima.

Purtroppo, dopo cinque anni di crisi economica il Paese non è più in grado di reggere l’urto: le famiglie sono in difficoltà e le imprese sempre più in affanno. La situazione del mondo delle partite Iva è addirittura drammatica: dall’inizio della crisi hanno chiuso l’attività 415 mila lavoratori autonomi; oltre 345 mila sono artigiani, commercianti e agricoltori.

Questi ultimi, a differenza dei lavoratori dipendenti, quando cessano l’attività non dispongono di alcuna misura di sostegno al reddito. Ad esclusione dei collaboratori a progetto che possono contare su un indennizzo una tantum, le partite Iva non usufruiscono dell’indennità di disoccupazione né di alcuna forma di cassaintegrazione o di mobilità lunga o corta. Una volta chiusa definitivamente la saracinesca della propria attività si ritrovano solo con molti debiti da pagare e un futuro tutto da inventare.

E’ utile ricordare che in proporzione la crisi ha colpito in misura maggiore il mondo delle partite Iva rispetto a quello del lavoro dipendente. In termini assoluti, la platea dei subordinati ha perso 565.000 lavoratori, con una quota del numero dei posti di lavoro persi sul totale della categoria pari al 3,3 per cento. Tassi, questi ultimi, che sono meno della metà di quelli registrati dai lavoratori indipendenti.

Anche sul fronte del credito le cose sono peggiorate. Tra l’ottobre di quest’anno e lo stesso mese del 2012, i prestiti bancari alle imprese sono crollati di oltre 50 miliardi di euro (-5,2 per cento). Sempre nello stesso periodo, invece, le sofferenze sono aumentate di 22,7 miliardi di euro (+24,9 per cento). In altre parole, il rapporto tra banche e imprese è scivolato lungo un crinale molto pericoloso: le prime si “difendono” chiudendo i rubinetti del credito, le seconde, invece, non si accingono nemmeno più a chiedere prestiti e finanziamenti, anche perché coloro che li hanno già ricevuti faticano a restituirli.

Senza un intervento del Governo che inverta questo trend, non è da escludere che nei prossimi mesi queste manifestazioni di protesta siano destinate ad allargarsi, assumendo toni molto più “minacciosi” di quelli registrati in questi giorni. 

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