lunedì 14 ottobre 2013

Lettera aperta alla Fondazione "Giovanni Paolo II" e alla Regione Molise

Riceviamo e pubblichiamo. Non sono abituato a esprimere pubblicamente le mie sensazioni e i miei pensieri. Ma gli avvenimenti degli ultimi mesi mi hanno costretto a fermarmi a pensare a quello che sta succedendo e che ancora potrà succedere.






Sono in Molise da ormai più di otto anni. Ci sono venuto insieme a un gruppo di amici e colleghi pieni di entusiasmo come me. Qui ho comprato casa, vivo con mia moglie e i miei tre figli e lavoro come Cardiologo presso la Fondazione “Giovanni Paolo II” di Campobasso. Ho imparato ad amare da subito questa terra, la sua cultura e le sue tradizioni. Ho apprezzato in particolare la dignità e la semplicità dei numerosi pazienti che in questi anni ho incontrato e curato. 

Nel corso di questi anni ho testardamente insistito a voler continuare a lavorare qui, nonostante abbia avuto numerose altre possibilità lavorative (anche economicamente e professionalmente più appaganti), perché sono sempre stato molto soddisfatto della qualità delle cure che riuscivo a fornire ai pazienti e dell’ambiente lavorativo nel quale svolgo il mio operato.

Le difficoltà incontrate, nei primi tempi, non sono state poche, come sempre, del resto, quando si inizia un progetto partendo praticamente da zero. Ma l’entusiasmo non è mai mancato e la riconoscenza dei pazienti è stato il miglior premio ai miei sacrifici.

La più grande fortuna è stata incontrare sulla mia strada dei compagni di viaggio (Medici, Infermieri, Tecnici, Ausiliari) sempre pronti e disponibili, con i quali è stato semplice costruire un ambiente di lavoro che fosse allo stesso tempo umanamente gratificante e professionalmente stimolante.

Negli ultimi due anni qualcosa, però, è cambiato.

La gestione del Centro ha seguito un disegno che a me e ai miei colleghi è risultato incomprensibile: mi riferisco al progressivo impoverimento della forza lavoro (col mancato rinnovo dei contratti di lavoro della grande maggioranza dei dipendenti a tempo determinato), anche nei Reparti dove chiaramente non c’era alcun esubero di personale (mi riferisco ad esempio alla Divisione di Cardiologia). E’ stata proprio la mancanza di progettualità che ha spinto molti colleghi a lasciare la Fondazione, impoverendone il patrimonio umano e professionale. E poi, la perdita del Laboratori di Ricerca, altrettanto incomprensibile per un Centro che mirava a diventare IRCCS!

Nonostante questo, tra conseguenti ovvie difficoltà, abbiamo tutti insieme proseguito il  nostro lavoro con impegno, professionalità e sacrificio, grazie alla forte motivazione che ci ha sempre guidati. E l’abbiamo fatto con ottimi risultati, garantendo ai nostri utenti le migliori cure disponibili. L’energia per continuare l’abbiamo presa dalla gratitudine dei nostri pazienti e dallo splendido ambiente di lavoro che nel corso degli anni abbiamo tutti insieme creato.

La comunicazione del pre-licenziamento di 45 Infermieri della Fondazione con contratto a tempo indeterminato, minacciata da tempo e avvenuta a Luglio scorso, ha improvvisamente destabilizzato e sconvolto tutti i lavoratori del Centro, e ha causato un conseguente riassetto delle attività.

E’ possibile che si debbano ancora una volta perdere professionalità formate nel corso di anni e non facilmente sostituibili?

E’ possibile che si debba sconvolgere un ambiente di lavoro che con fatica è stato perfezionato nel tempo?

E’ possibile dover perdere la vicinanza di persone con le quali abbiamo condiviso le nostre soddisfazioni professionali?

Tra pochi giorni il licenziamento sarà effettivo e definitivo. Faccio fatica a pensare che stia succedendo davvero. Mi è già capitato di salutare qualcuno di loro, ma non sono riuscito a convincermi che fosse un saluto d’addio. Negli occhi che ho incrociato ho notato, però, una malinconia che non conoscevo.

Davvero non si può più fare nulla?

Cinque mesi fa i lavoratori della Fondazione, con un referendum, hanno dichiarato la loro disponibilità a rinunciare a parte del loro stipendio pur di salvare il posto di lavoro di tutti, anche se questo sacrificio, ancora una volta, non era legato ad alcun progetto per il futuro. Che ne è stato di questa scelta?

E perché le Istituzioni (e il Presidente della Regione in primis) sembrano non trattare questa vicenda con la dovuta importanza?

Credo che la “nostra” Fondazione, in quanto struttura ospedaliera in grado di fornire trattamenti terapeutici di eccellenza, rappresenti una ricchezza per l’economia della Regione, e come tale, non si dovrebbe permetterne un ulteriore ridimensionamento che avrebbe il risultato di mettere in pericolo la sua stessa sopravvivenza. Ne deriverebbe una reazione a catena che porterebbe ad una perdita di posti di lavoro per tutto l’indotto.

Anche per questo, non ho mai perso la speranza che tutto possa risolversi per il meglio.

Ma non c’è altro tempo da perdere. Ci sono pochi giorni per revocare i licenziamenti e sedersi intorno a un tavolo, discutendo in modo costruttivo senza rimanere arroccati ognuno sulle proprie posizioni, tenendo presente che in gioco potrebbe esserci il destino non solo di 45 lavoratori, ma, ben presto, quello di più di quattrocento famiglie molisane, per nascita o d’adozione.



Quintino Parisi

Cardiologo

Fondazione di Ricerca e Cura “Giovanni Paolo II” - Campobasso

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