Un provvedimento che “ruota sostanzialmente attorno all'abolizione della prima rata dell'Imu su tutte le prime case e che, oltre a portare ulteriori elementi di iniquità e inefficenza al sistema fiscale italiano, in questa fase sottrae risorse utili ad altre priorità”.
E' questa la posizione della Cgil espressa dal segretario confederale Danilo Barbi oggi in audizione presso le commissioni congiunte Bilancio e Finanze della Camera sul decreto legge 102 del 31 agosto, nel sostenere che “la stessa considerazione vale per la seconda rata dell'Imu che il Governo si è impegnato ad abolire con la stesura della legge di stabilità, assieme al disinnesco dell'aumento dell'Iva indispensabile dati gli effetti regressive sul reddito e recessivi sull'economia".
La Cgil, osserva il dirigente sindacale, “ha sempre sostenuto la necessità di esentare dal pagamento i proprietari di un'unica abitazione di residenza entro un certo limite di valore, ad esempio aumentando la detrazione fino a 800/1000 euro, non di lusso”. In ogni caso, precisa, “la Cgil ha sempre ritenuto più giusta ed efficace l'introduzione di un'imposta sui grandi patrimoni, mobiliari e immobiliari, che conglobasse l'Imu”. Per quanto riguarda invece le misure prese su cassa in deroga ed esodati, Barbi sottolinea come “in analogia con il dl 101 del 31 agosto sulla 'razionalizzazione' della Pubblica Amministrazione, i provvedimenti relativi alle proroghe e ai rifinanziamenti per le emergenze occupazionali (Cig in deroga e i 6.500 esodati) si presentano insufficienti a rispondere alle esigenze complessive e, comunque, rischiano di rappresentare solo dei palliativi in assenza di nuove risorse e misure specifiche per le necessarie politiche fiscali e industriali di cui avrebbe bisogno il paese per uscire dalla crisi, così come espresso nel documento Cgil, Cisl, Uil e Confindustria”.
Finora, quindi, secondo la Cgil, “la politica economica del Governo continua a mostrarsi inadeguata a rispondere alla crisi occupazionale e a ritrovare la ripresa. Le sole politiche sul versante dell’offerta, di incentivazione (i cosiddetti dl 'Fare' e 'Lavoro') o di sostegno alla liquidità (restituzione dei debiti della Pa), senza un piano di investimenti e di creazione di occupazione, non possono risolvere i vuoti della domanda aggregata che hanno portato un’intensità recessiva e depressiva in Italia senza eguali in nessun altra economia industrializzata”. Per Barbi, inoltre, “neanche una temporanea e generalizzata riduzione della pressione tributaria può sostenere redditi, consumi e investimenti senza una riforma organica del sistema fiscale che sposti il peso del prelievo verso le ricchezze improduttive (grandi patrimoni, rendite, evasione, ecc.) alleggerendo i redditi 'fissi', soprattutto dei lavoratori e dei pensionati”.
Per quanto riguarda, infine, il rapporto tra le previsioni di crescita e i margini della finanza pubblica, la Cgil osserva che in questo contesto le previsioni contenute nel Def di aprile (“in cui si stimava una riduzione del Pil dell’1,3% nel 2013 e una crescita di pari valore dell’1,3% nel 2014”, ricorda Barbi) “andranno riconsiderate con l’inevitabile revisione della compatibilità delle misure annunciate rispetto ai nuovi equilibri di finanza pubblica”. Infatti, spiega il segretario confederale Cgil, “pur essendo il nostro paese autorizzato a utilizzare margini di spesa pubblica nel biennio in corso, grazie all’uscita dalla procedura di infrazione del deficit ottenuta il giugno scorso, con le nuove previsioni di crescita del Pil, a oggi, i quasi 2 punti cumulati a fine 2014 stimati nel Def ad aprile scomparirebbero, anche in presenza di un segno positivo del Pil dell’anno prossimo (se non supera lo 0,4%)”.
Tutto ciò, inoltre, “va considerato in presenza di una crescita del debito pubblico, solo parzialmente trattenuta dal contenimento dei tassi di interesse e dalla riduzione dello spread, dato l’aumento del fabbisogno finanziario per l’accelerazione dei rimborsi dei debiti delle Amministrazioni pubbliche, oltre i costi del sostegno dell’Italia ai paesi dell’Eurozona in difficoltà”. In prospettiva, infine, “il Governo ha annunciato di voler rispettare l’impegno a eliminare anche la seconda rata Imu entro il 15 ottobre cercando nuovi tagli della spesa pubblica, dismissione di patrimonio dello Stato e privatizzazioni. Tutti elementi di indebolimento della domanda interna, che rischiano di costituire un nuovo disinvestimento nella crescita e nello sviluppo del Paese, allontanando così - conclude Barbi - la potenziale ripresa”.
La Cgil, osserva il dirigente sindacale, “ha sempre sostenuto la necessità di esentare dal pagamento i proprietari di un'unica abitazione di residenza entro un certo limite di valore, ad esempio aumentando la detrazione fino a 800/1000 euro, non di lusso”. In ogni caso, precisa, “la Cgil ha sempre ritenuto più giusta ed efficace l'introduzione di un'imposta sui grandi patrimoni, mobiliari e immobiliari, che conglobasse l'Imu”. Per quanto riguarda invece le misure prese su cassa in deroga ed esodati, Barbi sottolinea come “in analogia con il dl 101 del 31 agosto sulla 'razionalizzazione' della Pubblica Amministrazione, i provvedimenti relativi alle proroghe e ai rifinanziamenti per le emergenze occupazionali (Cig in deroga e i 6.500 esodati) si presentano insufficienti a rispondere alle esigenze complessive e, comunque, rischiano di rappresentare solo dei palliativi in assenza di nuove risorse e misure specifiche per le necessarie politiche fiscali e industriali di cui avrebbe bisogno il paese per uscire dalla crisi, così come espresso nel documento Cgil, Cisl, Uil e Confindustria”.
Finora, quindi, secondo la Cgil, “la politica economica del Governo continua a mostrarsi inadeguata a rispondere alla crisi occupazionale e a ritrovare la ripresa. Le sole politiche sul versante dell’offerta, di incentivazione (i cosiddetti dl 'Fare' e 'Lavoro') o di sostegno alla liquidità (restituzione dei debiti della Pa), senza un piano di investimenti e di creazione di occupazione, non possono risolvere i vuoti della domanda aggregata che hanno portato un’intensità recessiva e depressiva in Italia senza eguali in nessun altra economia industrializzata”. Per Barbi, inoltre, “neanche una temporanea e generalizzata riduzione della pressione tributaria può sostenere redditi, consumi e investimenti senza una riforma organica del sistema fiscale che sposti il peso del prelievo verso le ricchezze improduttive (grandi patrimoni, rendite, evasione, ecc.) alleggerendo i redditi 'fissi', soprattutto dei lavoratori e dei pensionati”.
Per quanto riguarda, infine, il rapporto tra le previsioni di crescita e i margini della finanza pubblica, la Cgil osserva che in questo contesto le previsioni contenute nel Def di aprile (“in cui si stimava una riduzione del Pil dell’1,3% nel 2013 e una crescita di pari valore dell’1,3% nel 2014”, ricorda Barbi) “andranno riconsiderate con l’inevitabile revisione della compatibilità delle misure annunciate rispetto ai nuovi equilibri di finanza pubblica”. Infatti, spiega il segretario confederale Cgil, “pur essendo il nostro paese autorizzato a utilizzare margini di spesa pubblica nel biennio in corso, grazie all’uscita dalla procedura di infrazione del deficit ottenuta il giugno scorso, con le nuove previsioni di crescita del Pil, a oggi, i quasi 2 punti cumulati a fine 2014 stimati nel Def ad aprile scomparirebbero, anche in presenza di un segno positivo del Pil dell’anno prossimo (se non supera lo 0,4%)”.
Tutto ciò, inoltre, “va considerato in presenza di una crescita del debito pubblico, solo parzialmente trattenuta dal contenimento dei tassi di interesse e dalla riduzione dello spread, dato l’aumento del fabbisogno finanziario per l’accelerazione dei rimborsi dei debiti delle Amministrazioni pubbliche, oltre i costi del sostegno dell’Italia ai paesi dell’Eurozona in difficoltà”. In prospettiva, infine, “il Governo ha annunciato di voler rispettare l’impegno a eliminare anche la seconda rata Imu entro il 15 ottobre cercando nuovi tagli della spesa pubblica, dismissione di patrimonio dello Stato e privatizzazioni. Tutti elementi di indebolimento della domanda interna, che rischiano di costituire un nuovo disinvestimento nella crescita e nello sviluppo del Paese, allontanando così - conclude Barbi - la potenziale ripresa”.
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