"Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del Prefetto di Forlì"! Carlo Alberto Dalla Chiesa in una dichiarazione di Maggio 1982 a pochi mesi dal suo assassinio mafioso.
Carlo Alberto Dalla Chiesa, già ufficiale dei Carabinieri, entrò nel 1943 nella Resistenza e operò clandestinamente nelle Marche dove contrastò i tedeschi. Finita la guerra conobbe per i suoi corsi di studi Aldo Moro nella veste di docente dell’Università di Bari e nel 1949 venne inviato in Sicilia per contrastare la mafia. Qui indagò sull’uccisione di Placido Rizzotto, sindacalista Cgil, e incriminò Luciano Liggio, efferato capomafia italoamericano, e venne in contatto con Pio La Torre che subentrò a Rizzotto nella guida della Camera del Lavoro di Corleone.
Dopo alterne vicende tra incarichi nazionali e ritorni in Sicilia, seguì le indagini per l’assassinio del giornalista palermitano Tullio De Mauro, del Procuratore Pietro Scaglione e avviò un metodo d’indagine innovativo che fece emergere le responsabilità del capo dei capi Michele Greco e dei contatti tra politica e mafia.
Impegnato negli anni settanta nella guerra al terrorismo brigatista, Dalla Chiesa che il 16 dicembre 1981 assume il Vice-Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, dopo l’uccisione mafiosa prima del Presidente della Regione Siciliana, Piersanti Mattarella nel 1980 e poi del segretario regionale del PCI, Pio La Torre, avvenuta il 30 aprile 1982, venne sollecitato dal Ministro Virginio Rognoni a tornare a Palermo nelle vesti di Prefetto.
Ma nonostante le promesse non gli furono attribuiti poteri straordinari e pur riuscendo in pochi mesi a raccogliere il dossier dei 162 e arrestare dieci boss corleonesi, il 3 settembre 1982 alle 21.15 la mafia lo assassinò per ordine di Provenzano, Riina, Pippo Calò, Brusca e Geraci. Con lui morirono la moglie Emanuela Setti Carraro che guidava la 112 e l’agente di scorta Domenico Russo.
Al suo funerale i vertici istituzionali nazionali subirono una forte contestazione popolare ed il Cardinale Pappalardo nell’omelia accusò lo Stato < Mentre a Roma si pensa sul da fare, Sagunto brucia..e questa volta Sagunto è Palermo. Povera la nostra Palermo >. La figlia Rita per protesta rifiutò simboli e condoglianze delle istituzioni facendo porre sulla bara solo il tricolore, la sciabola e il suo berretto da Generale.
Prestavo servizio presso la Tenenza dei Carabinieri di Agnone quando ci arrivò la notizia dell’assassinio mafioso di Dalla Chiesa e conserverò per sempre il ricordo del gelo che ci cadde addosso insieme allo sdegno e alla rabbia. Ma l’Italia di Bearzot aveva appena vinto i mondiali di Spagna e ben presto si distolse dalla perdita di un grande Servitore dello Stato, che dopo 30 è stato archiviato come se il suo sacrificio per la legalità fosse stato vano. Non può essere così !
Dopo alterne vicende tra incarichi nazionali e ritorni in Sicilia, seguì le indagini per l’assassinio del giornalista palermitano Tullio De Mauro, del Procuratore Pietro Scaglione e avviò un metodo d’indagine innovativo che fece emergere le responsabilità del capo dei capi Michele Greco e dei contatti tra politica e mafia.
Impegnato negli anni settanta nella guerra al terrorismo brigatista, Dalla Chiesa che il 16 dicembre 1981 assume il Vice-Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, dopo l’uccisione mafiosa prima del Presidente della Regione Siciliana, Piersanti Mattarella nel 1980 e poi del segretario regionale del PCI, Pio La Torre, avvenuta il 30 aprile 1982, venne sollecitato dal Ministro Virginio Rognoni a tornare a Palermo nelle vesti di Prefetto.
Ma nonostante le promesse non gli furono attribuiti poteri straordinari e pur riuscendo in pochi mesi a raccogliere il dossier dei 162 e arrestare dieci boss corleonesi, il 3 settembre 1982 alle 21.15 la mafia lo assassinò per ordine di Provenzano, Riina, Pippo Calò, Brusca e Geraci. Con lui morirono la moglie Emanuela Setti Carraro che guidava la 112 e l’agente di scorta Domenico Russo.
Al suo funerale i vertici istituzionali nazionali subirono una forte contestazione popolare ed il Cardinale Pappalardo nell’omelia accusò lo Stato < Mentre a Roma si pensa sul da fare, Sagunto brucia..e questa volta Sagunto è Palermo. Povera la nostra Palermo >. La figlia Rita per protesta rifiutò simboli e condoglianze delle istituzioni facendo porre sulla bara solo il tricolore, la sciabola e il suo berretto da Generale.
Prestavo servizio presso la Tenenza dei Carabinieri di Agnone quando ci arrivò la notizia dell’assassinio mafioso di Dalla Chiesa e conserverò per sempre il ricordo del gelo che ci cadde addosso insieme allo sdegno e alla rabbia. Ma l’Italia di Bearzot aveva appena vinto i mondiali di Spagna e ben presto si distolse dalla perdita di un grande Servitore dello Stato, che dopo 30 è stato archiviato come se il suo sacrificio per la legalità fosse stato vano. Non può essere così !
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