Ieri, 3 marzo, la Provincia di Isernia ha celebrato i 42 anni della sua istituzione. Pubblichiamo alcune riflessioni di Enrico Santoro, sindaco di Isernia nel 1970 quando l’ente di via Berta entrò in funzione.
La Provincia si ottenne cinque anni dopo l’insediamento dell’amministrazione comunale che vinse le elezioni nel 1964 e che si insediò il 12 febbraio 1965.
Rileggendo oggi il manifesto che fu affisso sui muri di Isernia in quell’occasione, viene da pensare che l’obiettivo della Provincia fu raggiunto, perché voluto da un’intera comunità e perseguito “insieme”. Nel manifesto si annunciava il programma da realizzare: Provincia, Università, nuovo centro ospedaliero, impianti sportivi, piano regolatore e tante altre cose. Ciò che accadde il 3 marzo 1970, dunque, non fu altro che il compimento di quanto preannunciato in quel documento. E non fu altro che l’esplicitazione del forte desiderio di un intero popolo.
Rileggendo oggi il manifesto che fu affisso sui muri di Isernia in quell’occasione, viene da pensare che l’obiettivo della Provincia fu raggiunto, perché voluto da un’intera comunità e perseguito “insieme”. Nel manifesto si annunciava il programma da realizzare: Provincia, Università, nuovo centro ospedaliero, impianti sportivi, piano regolatore e tante altre cose. Ciò che accadde il 3 marzo 1970, dunque, non fu altro che il compimento di quanto preannunciato in quel documento. E non fu altro che l’esplicitazione del forte desiderio di un intero popolo.
Raggiunto tale obiettivo, sembrò che si aprisse per noi un’epoca nuova, sfavillante di speranza. Si sentiva a pelle la certezza di un futuro migliore e si aveva la sensazione di una prosperità raggiungibile per tutti.
Cosa è rimasto, a distanza di tanti anni, di quella concordia e di quella capacità di mettere insieme tutti?
Poco. Sembra che non sia più attuale ricorrere al “popolo”. Sembra che il “popolo” sia divenuto uno strumento nelle mani di pochi e persino la scelta dei governanti non è più una prerogativa dei cittadini. Eppure, la forza di una democrazia sta proprio nelle energie che la comunità intera dà ai propri rappresentanti: gli stimoli, l’entusiasmo, i desideri da realizzare, i miglioramenti da perseguire.
Cosa è rimasto, a distanza di tanti anni, di quella concordia e di quella capacità di mettere insieme tutti?
Poco. Sembra che non sia più attuale ricorrere al “popolo”. Sembra che il “popolo” sia divenuto uno strumento nelle mani di pochi e persino la scelta dei governanti non è più una prerogativa dei cittadini. Eppure, la forza di una democrazia sta proprio nelle energie che la comunità intera dà ai propri rappresentanti: gli stimoli, l’entusiasmo, i desideri da realizzare, i miglioramenti da perseguire.
A quarantadue anni di distanza dall’istituzione della Provincia e a quarantasette dall’affissione del manifesto di cui si diceva, bisogna prendere atto del fatto che lo “stare insieme” è sempre meno importante e che non si è più in grado di immaginare un futuro da proporre ai propri cittadini.
Nell’anniversario dell’istituzione della Provincia, dobbiamo assolutamente augurarci di ritrovare la capacità di lavorare insieme, nella diversità, e di creare gli spazi ideali per un confronto dialettico che porti ad immaginare il futuro.
Come si fa a pretendere che i giovani si impegnino se non c’è niente da perseguire, se nessuno traccia un futuro da desiderare, se non c’è niente oltre all’angoscia dell’imminente e allo squallore del presente?
Nell’anniversario dell’istituzione della Provincia, dobbiamo assolutamente augurarci di ritrovare la capacità di lavorare insieme, nella diversità, e di creare gli spazi ideali per un confronto dialettico che porti ad immaginare il futuro.
Come si fa a pretendere che i giovani si impegnino se non c’è niente da perseguire, se nessuno traccia un futuro da desiderare, se non c’è niente oltre all’angoscia dell’imminente e allo squallore del presente?
La situazione che vive la nostra provincia non è quella immaginata tanto tempo fa: rileviamo i fallimenti di aziende importanti, la diffusione massiccia di sostanze stupefacenti, persino la prostituzione e la criminalità organizzata che si insinua pericolosamente. Noi avevamo immaginato, invece, di investire e di trovare lo sviluppo nella Ricerca, nell’Informatizzazione e nella Solidarietà. Siamo ancora in tempo a riprendere in mano le redini? Siamo ancora in tempo a provare ad essere competitivi con le nostre piccole dimensioni e con le nostre specificità?
Forse sì ma la politica deve tornare a disegnare una prospettiva, a immaginare cosa può esserci di nuovo per lo sviluppo e la sopravvivenza di una comunità come la nostra e a stimolare il confronto tra gli uomini. Bisogna tornare a confrontarci e a lavorare “insieme”.
Enrico Santoro
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