Cos’è la qualità in un servizio pubblico? Dare una risposta a questa domanda non è semplice. I fattori in gioco sono tanti da rendere necessario l’ampliamento dello spettro semantico del termine ‘qualità’. Il raggio, allora, si allarga a dismisura moltiplicando i possibili punti di partenza per un discorso sensato e le possibili strade percorribili.
Così, dare un senso al tutto impone, in prima istanza, qualche punto interrogativo in più. A partire da: chi è il detentore del modello di qualità, del suo significato, in un servizio pubblico? Gli operatori, il possibile garante o gli utenti? Le scale da utilizzare per una definizione il più ‘scientifica’ possibile, sarebbero, a questo punto, varie e complesse. Il tutto prima ancora di scendere nel particolare degli indici determinanti la buona, o meno, qualità. Un punto fermo, un cardine attorno cui ruotare, però, c’è. Ed è la necessità che anche il servizio pubblico, come un prodotto commerciale, garantisca una soglia di soddisfacimento di chi ne usufruisce e, indirettamente o meno, paga una prestazione piuttosto che un materasso acquistato con diritto di recesso. Prima ancora dei dati, quindi, è necessario avere le idee chiare sul concetto basilare. E lo studio sperimentale Eusam, elaborato dall’Istituto Superiore di Sanità e finanziato dal Ministero della Salute, ha provato a dare risposte in tal senso. Ci ha provato coinvolgendo i servizi sanitari locali in uno screening accurato sul soddisfacimento, appunto, delle aspettative degli utenti in merito ai servizi erogati dalla sanità pubblica. In particolare, il programma s’è concentrato sulle utenze della salute mentale, sottoponendo questionari elaborati sulla base del lavoro fatto nel Regno Unito dall’istituto Picker. Ne è venuto fuori un quadro indicativo, benché non esaustivo, le cui sfaccettature sono state analizzate e discusse nell’ambito del workshop ‘Un programma innovativo per la rilevazione della qualità percepita e nei Servizi di Salute Mentale’, tenutosi venerdì 9 marzo presso l’aula Rossi dell’Iss a Roma. Discussione tutt’altro che fine a sé stessa, se considerato – come emerso – che alla base del benessere del cosiddetto paziente c’è la ‘percezione’ che lo stesso ha della validità dell’assistenza ricevuta. Aperti dal direttore del Centro nazionale di epidemiologia sorveglianza e promozione della salute (Cnesps), Stefania Salmaso i lavori hanno visto i contributi, di Andrea Gardini, della Società italiana per la qualità dell’assistenza sanitaria, Vrq, nonché direttore sanitario dell’ospedale di Ferrara, della dottoressa Roberta Andrioli Stagno, del Ministero della Sanità, di Guido Vincenzo Ditta, dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, e del direttore del reparto di Salute Mentale dell’Iss, Antonella Gigantesco. Alla matrice ‘ideale’, poi, si sono uniti i dati scientifici ricavati dallo studio ed esplicati, in senso generale, dal dottor Emanuele Tarolla, responsabile – in pratica – del progetto e psichiatra del dipartimento di Salute mentale dell’Iss. Il vivo dell’incontro, però, s’è raggiunto quando i soggetti coinvolti nella ricerca hanno mostrato gli esiti rilevati territorio per territorio. Tra essi, anche l’Asrem Molise, partecipe allo studio di circa due anni sotto la direzione scientifica del direttore del Dipartimento di Salute mentale, Franco Veltro, e coordinato, nei termini, dalla psicologa del Centro di salute mentale di Campobasso, Claudia Iannone. Interessante lo screening elaborato dall’azienda Molise, come interessante è stato il confronto dei dati con quanto rilevato dagli altri agenti: l’Asl 3 genovese, con Bruna Caviglia, Orietta Rivano e il dottor Federico Oggiano; l’Asl Roma B, con lo psicologo Riccardo Cicchetti; l’Asl Roma D, per cui lo studio è stato seguito dalle dottoresse Francesca Andronico e Giovanna Pacifico; l’Università la Sapienza di Roma, con la dottoressa Claudia Dario. A ciò si sono aggiunti i contributi della dottoressa Elvira Chiaia, dell’Asl Roma D, di Luigi Orso, del policlinico Umberto I di Roma, Virgilia Toccaceli, del reparto di epidemiologia genetica dell’Iss, e di Luca Papandrea, presidente dell’associazione di utenti ‘L’Aurora’.
Nell’attesa della pubblicazione scientifica, relativa ai dati raccolti dallo studio (effettuato su di un totale di 10 tra Centri di salute mentale e Dipartimenti di salute mentale e 4 Servizi psichiatrici di diagnosi e cura), quel che è emerso è la necessità di un programma che rilevi la qualità del servizio ma, ancor più, il bisogno di dare un seguito agli esiti della ricerca. Già, perché l’eventuale adozione del sistema da parte delle strutture comporterebbe, inevitabilmente, l’urgenza dello sviluppo di un programma più ampio che, oltre alla raccolta dei pareri (estendibile ad ogni campo della Sanità) preveda azioni consequenziali che - in termini di ipotesi - potrebbero trascendere il mero giudizio per giungere a disposizioni finalizzate al recupero del gap qualitativo registrato in determinate strutture.
La fattibilità
Eusam è applicabile? E’ esportabile alle realtà locali? Ancora domande, alle quali, però, le risposte ci sono: e chiare. Innanzitutto: sì. La fattibilità del progetto c’è, a prescindere dalla sostanziale bontà: finalmente si ha la possibilità di incidere, in qualche modo, sull’andazzo corrente, sullo status quo non sempre roseo dei servizi. Passando all’aspetto economico, ci si trova di fronte al secondo dato positivo. La produzione del materiale, la distribuzione, l’elaborazione e quant’altro, hanno comportato un investimento di poco superiore ai 10mila euro, divisi per aziende e finanziati dal Ministero. Certo, con i tempi che corrono, chiedere danaro alle Asl (si legga Regioni) diventa sempre più complicato. Tuttavia, a fronte di un investimento irrisorio (rispetto a convenzioni, appalti con ditte esterne, elargizioni di incarichi, commissariamenti e moltiplicazione delle competenze) si darebbe voce al paziente, all’utente, alla persona che poi è il centro nevralgico di ogni servizio pubblico: sanitario in modo particolare. Da vincere poche cose, tra cui la reticenza riscontrabile in alcuni addetti ai lavori: sottoporsi ad un giudizio non è mai cosa semplice, lì dove spesso l’autoreferenzialità è in agguato. Ancora. Altra problematica, emersa un po’ ovunque, è stata la carenza di spazi adeguati, nei quali svolgere il lavoro di preparazione del materiale e compilazione dei questionari. E qui si giunge all’aspetto pratico dello studio. Due sono state le modalità di rilevazione approntate. Una postale, con la spedizione dei questionari e la successiva ricezione del materiale compilato. L’altra diretta, con la consegna dei moduli in loco e de visu agli utenti arruolati. Ciò nonostante, la fattibilità e la necessità, a dirla tutta, di implementare il programma è evidente. Quel che resta da chiarire, come emerso dal workshop, è chi dovrà controllare l’esito della ricerca una volta che questa sarà appannaggio dei servizi territoriali. Due le ipotesi. Lasciare tutto in mano ad un ente ‘super partes’, quale l’Istituto superiore di sanità, o demandare l’incombenza alle Regioni. Quale delle due? Considerando lo stato della Sanità italiana, con mezza penisola commissariata per i disavanzi creati dalle gestioni regionali, la risposta sembra scontata. Neanche troppo celato sarebbe il conflitto d’interessi dei governi locali e del loro doppio ruolo di controllore e controllato, specie allorché gli esiti di una ricerca del genere diventino propedeutici a note di merito o finanziamenti statali.
La ‘vicenda’ Molise
Due i servizi coinvolti da Eusam nel distretto sanitario di Campobasso: il Dsm e lo Spdc del capoluogo di regione. 863 gli utenti ‘interpellati’ nel primo; 119 nel secondo servizio. Anche qui, i dati restano appannaggio di una prossima pubblicazione scientifica. Tuttavia, dai riscontri è emersa un’ottima risposta degli utenti, fortemente motivati a dare la loro opinione sui servizi distrettuali inerenti la Salute mentale. Il quadro è positivo, nel complesso. Specie in seguito alla recente apertura del Centro di salute mentale di via San Lorenzo a Campobasso, la cui assenza, però, s’è sentita eccome durante i due anni circa di studio Eusam. La presenza, infatti, di una struttura adeguata avrebbe permesso, anche qui, di superare alcuni ostacoli legati al reperimento di spazi dedicati e all’interferenza con i carichi di lavoro delle attività assistenziali. Questi i dati incoraggianti emersi dalla relazione presentata all’Istituto superiore di sanità dalla dottoressa Iannone per la quale il progetto è fattibile anche in Molise: “Le risposte ottenute dimostrano come la partecipazione attiva degli utenti sia una condizione essenziale al miglioramento dei servizi sul territorio”. Migliorare per rispondere all’ultima domanda emersa dal workshop: la qualità ha un consto o è un consto? “La qualità è un investimento che, a lungo termine, porta alla riduzione dei costi. Migliorarla significa migliorare la percezione dell’utente rispetto ai servizi e, di conseguenza, la risposta al processo di cura”.
Nell’attesa della pubblicazione scientifica, relativa ai dati raccolti dallo studio (effettuato su di un totale di 10 tra Centri di salute mentale e Dipartimenti di salute mentale e 4 Servizi psichiatrici di diagnosi e cura), quel che è emerso è la necessità di un programma che rilevi la qualità del servizio ma, ancor più, il bisogno di dare un seguito agli esiti della ricerca. Già, perché l’eventuale adozione del sistema da parte delle strutture comporterebbe, inevitabilmente, l’urgenza dello sviluppo di un programma più ampio che, oltre alla raccolta dei pareri (estendibile ad ogni campo della Sanità) preveda azioni consequenziali che - in termini di ipotesi - potrebbero trascendere il mero giudizio per giungere a disposizioni finalizzate al recupero del gap qualitativo registrato in determinate strutture.
La fattibilità
Eusam è applicabile? E’ esportabile alle realtà locali? Ancora domande, alle quali, però, le risposte ci sono: e chiare. Innanzitutto: sì. La fattibilità del progetto c’è, a prescindere dalla sostanziale bontà: finalmente si ha la possibilità di incidere, in qualche modo, sull’andazzo corrente, sullo status quo non sempre roseo dei servizi. Passando all’aspetto economico, ci si trova di fronte al secondo dato positivo. La produzione del materiale, la distribuzione, l’elaborazione e quant’altro, hanno comportato un investimento di poco superiore ai 10mila euro, divisi per aziende e finanziati dal Ministero. Certo, con i tempi che corrono, chiedere danaro alle Asl (si legga Regioni) diventa sempre più complicato. Tuttavia, a fronte di un investimento irrisorio (rispetto a convenzioni, appalti con ditte esterne, elargizioni di incarichi, commissariamenti e moltiplicazione delle competenze) si darebbe voce al paziente, all’utente, alla persona che poi è il centro nevralgico di ogni servizio pubblico: sanitario in modo particolare. Da vincere poche cose, tra cui la reticenza riscontrabile in alcuni addetti ai lavori: sottoporsi ad un giudizio non è mai cosa semplice, lì dove spesso l’autoreferenzialità è in agguato. Ancora. Altra problematica, emersa un po’ ovunque, è stata la carenza di spazi adeguati, nei quali svolgere il lavoro di preparazione del materiale e compilazione dei questionari. E qui si giunge all’aspetto pratico dello studio. Due sono state le modalità di rilevazione approntate. Una postale, con la spedizione dei questionari e la successiva ricezione del materiale compilato. L’altra diretta, con la consegna dei moduli in loco e de visu agli utenti arruolati. Ciò nonostante, la fattibilità e la necessità, a dirla tutta, di implementare il programma è evidente. Quel che resta da chiarire, come emerso dal workshop, è chi dovrà controllare l’esito della ricerca una volta che questa sarà appannaggio dei servizi territoriali. Due le ipotesi. Lasciare tutto in mano ad un ente ‘super partes’, quale l’Istituto superiore di sanità, o demandare l’incombenza alle Regioni. Quale delle due? Considerando lo stato della Sanità italiana, con mezza penisola commissariata per i disavanzi creati dalle gestioni regionali, la risposta sembra scontata. Neanche troppo celato sarebbe il conflitto d’interessi dei governi locali e del loro doppio ruolo di controllore e controllato, specie allorché gli esiti di una ricerca del genere diventino propedeutici a note di merito o finanziamenti statali.
La ‘vicenda’ Molise
Due i servizi coinvolti da Eusam nel distretto sanitario di Campobasso: il Dsm e lo Spdc del capoluogo di regione. 863 gli utenti ‘interpellati’ nel primo; 119 nel secondo servizio. Anche qui, i dati restano appannaggio di una prossima pubblicazione scientifica. Tuttavia, dai riscontri è emersa un’ottima risposta degli utenti, fortemente motivati a dare la loro opinione sui servizi distrettuali inerenti la Salute mentale. Il quadro è positivo, nel complesso. Specie in seguito alla recente apertura del Centro di salute mentale di via San Lorenzo a Campobasso, la cui assenza, però, s’è sentita eccome durante i due anni circa di studio Eusam. La presenza, infatti, di una struttura adeguata avrebbe permesso, anche qui, di superare alcuni ostacoli legati al reperimento di spazi dedicati e all’interferenza con i carichi di lavoro delle attività assistenziali. Questi i dati incoraggianti emersi dalla relazione presentata all’Istituto superiore di sanità dalla dottoressa Iannone per la quale il progetto è fattibile anche in Molise: “Le risposte ottenute dimostrano come la partecipazione attiva degli utenti sia una condizione essenziale al miglioramento dei servizi sul territorio”. Migliorare per rispondere all’ultima domanda emersa dal workshop: la qualità ha un consto o è un consto? “La qualità è un investimento che, a lungo termine, porta alla riduzione dei costi. Migliorarla significa migliorare la percezione dell’utente rispetto ai servizi e, di conseguenza, la risposta al processo di cura”.

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