martedì 24 gennaio 2012

Nel 1577 il padre domenicano Serafino Razzi passò per Isernia durante uno dei suoi numerosi viaggi

Nel 1577, il padre domenicano Serafino Razzi (Marradi 1531, Firenze 1613) passò per Isernia durante uno dei suoi numerosi viaggi. Giunse in città il 2 maggio e incontrò il vescovo Lomellino (colui che portò a Isernia la stupenda icona della Madonna della Luce).

Il giorno seguente, Razzi si spostò a Longano dove conobbe i rappresentati delle famiglie nobili dell’epoca.

Ecco come annotò, in un manoscritto conservato nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (ms Palatino 37), i ricordi di quella visita:



"Il giovedì mattina a’ 2 di maggio andammo a dir la messa al convento nostro di Santa Croce, un tiro d’arco fuori della porta di Sernio. E questa istessa mattina rimandai il garzone col cavallo al Vasto, essendo arrivati a strade migliori, e più battute.

Visitai in questo dì Monsignor Giovambattista Lomellino, Vescovo, il quale mi mandò a donare una lepre e la ci godemmo co’ questi nostri padri. Visitai ancora questo dì Monsignore Sanfelice, già Vescovo della Cava, e prelato vecchio che nella Corte Romana ha havuti più honorati carichi. E specialmente due volte è stato governatore di Perugia.

Il venerdì mattina a’ 3 di maggio, detta messa, e fatta collazione andai con fra Stefano da Chieti, divoto sacerdote, a visitare il Signor Carlo Sommaia, fiorentino, e la sua signora madre, la Signora Lucrezia Gondi, e la sua signora consorte, la Signora Camilla (Rinieri) a Lungano, castello tre miglia da Sernio, su la sinistra mano, andando verso Napoli.

Lungano, forse così detto peroché lungh’anni, e grande etade ci vivono gli habitatori di quello per la bontà dell’aere, sopra un elevato colle, in mezzo a due assai vaghe e dilettevoli valli; il quale elevato colle, alle spalle della Rocca segue di ergersi più in alto con una costa piacevole e viene a difendere la Rocca et il Villaggio a basso dall’impeto de i venti. Dalla fronte poi di detta Rocca, tramezzando una cupa valle, soprasta un altissimo monte, da cui si veggono e si sentono con grato mormorio cadere acque chiarissime e gelidissime, in tanta copia et abondanza, che con altri rivi correnti da altre bande fanno il vago fiumicello Lungano onde la Terra trae il nome, et il quale genera e produce trote, co’ gran satisfazione di quei signori. Da i quali fui con molta cortesia ricevuto, portando una lettera della Rev. Madre Suor Giulia Sommaia, loro sorella, e monaca in S. Caterina da Siena, in Firenze.

Io desiderava di ritornare la sera a Sernio, ma quei signori, e la pioggia appresso non lo permisero. Onde cenai co’ loro signorie, e fra l’altre vivande ci furono prugnoli e pesci.

La mattina per tempo levandomi salii la costa sopra la Rocca, dicendo il nostre officio, e poscia levati quei signori celebrai la sacra messa, e presa licenza ce ne discendemmo pian piano di Sernio, con promessione di riveder lor Signorie, nel ritorno da Napoli.

Era col signor Carlo, fra Giovambattista cavalliere di Malta suo fratello, e mi dissero che il minor loro fratello fra Camillo anch’egli cavalliere di Malta, si trovava in servizio della sua Religione su le galee. E mi narrarono appresso come il loro padre Messer Bernardo Sommaia circa 30 anni sono comperò detta Signoria, e che quì morì, e vi è sepolto; e come gli succedé nella Signoria il primogenito chiamato Ridolfo, il quale morendo giovane, non anche amogliato, lasciò la Signoria al signor Carlo che all’hora dava opera a gli studi. Ne i quali si era molti anni essercitato in Napoli, in Bologna, et in Padova. Onde non può esser se non felice quella Terra che da principe letterato è retta, e governata. Tiene fin’ a hora il Signor Carlo della Signora Camilla sua consorte due figli maschi, Bernardino e Ridolfo, Nostro Signore gli conservi, e prosperi nella sua grazia.
La domenica mattina, a’ 5 di maggio 1577, detta messa andai a fare una predica in Duomo, presenti i due sopranominati Vescovi, col clero, e popolo copioso. Donò il Vescovo Lomellino questa mattina al convento un capretto, e mi pregò che al ritorno di Napoli io facessi la via di qua.
Dopo desinare partimmo al nostro viaggio: e passato al II miglio il fiume Cavellio, et al V il fiume di Vulturno, che poi corre grossissimo alle mura di Capua: e lasciatoci su la destra Venafro, e Rocca paperoccia, arrivammo al XV miglio all’osteria del Sesto, copiosa di ogni bene".


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