Nel 1577, il padre domenicano Serafino Razzi (Marradi 1531, Firenze 1613) passò per Isernia durante uno dei suoi numerosi viaggi. Giunse in città il 2 maggio e incontrò il vescovo Lomellino (colui che portò a Isernia la stupenda icona della Madonna della Luce).
Il giorno seguente, Razzi si spostò a Longano dove conobbe i rappresentati delle famiglie nobili dell’epoca.
Ecco come annotò, in un manoscritto conservato nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (ms Palatino 37), i ricordi di quella visita:
"Il giovedì mattina a’ 2 di maggio andammo a dir la messa al convento nostro di Santa Croce, un tiro d’arco fuori della porta di Sernio. E questa istessa mattina rimandai il garzone col cavallo al Vasto, essendo arrivati a strade migliori, e più battute.
Visitai in questo dì Monsignor Giovambattista Lomellino, Vescovo, il quale mi mandò a donare una lepre e la ci godemmo co’ questi nostri padri. Visitai ancora questo dì Monsignore Sanfelice, già Vescovo della Cava, e prelato vecchio che nella Corte Romana ha havuti più honorati carichi. E specialmente due volte è stato governatore di Perugia.
Il venerdì mattina a’ 3 di maggio, detta messa, e fatta collazione andai con fra Stefano da Chieti, divoto sacerdote, a visitare il Signor Carlo Sommaia, fiorentino, e la sua signora madre, la Signora Lucrezia Gondi, e la sua signora consorte, la Signora Camilla (Rinieri) a Lungano, castello tre miglia da Sernio, su la sinistra mano, andando verso Napoli.
Lungano, forse così detto peroché lungh’anni, e grande etade ci vivono gli habitatori di quello per la bontà dell’aere, sopra un elevato colle, in mezzo a due assai vaghe e dilettevoli valli; il quale elevato colle, alle spalle della Rocca segue di ergersi più in alto con una costa piacevole e viene a difendere la Rocca et il Villaggio a basso dall’impeto de i venti. Dalla fronte poi di detta Rocca, tramezzando una cupa valle, soprasta un altissimo monte, da cui si veggono e si sentono con grato mormorio cadere acque chiarissime e gelidissime, in tanta copia et abondanza, che con altri rivi correnti da altre bande fanno il vago fiumicello Lungano onde la Terra trae il nome, et il quale genera e produce trote, co’ gran satisfazione di quei signori. Da i quali fui con molta cortesia ricevuto, portando una lettera della Rev. Madre Suor Giulia Sommaia, loro sorella, e monaca in S. Caterina da Siena, in Firenze.
Io desiderava di ritornare la sera a Sernio, ma quei signori, e la pioggia appresso non lo permisero. Onde cenai co’ loro signorie, e fra l’altre vivande ci furono prugnoli e pesci.
La mattina per tempo levandomi salii la costa sopra la Rocca, dicendo il nostre officio, e poscia levati quei signori celebrai la sacra messa, e presa licenza ce ne discendemmo pian piano di Sernio, con promessione di riveder lor Signorie, nel ritorno da Napoli.
Era col signor Carlo, fra Giovambattista cavalliere di Malta suo fratello, e mi dissero che il minor loro fratello fra Camillo anch’egli cavalliere di Malta, si trovava in servizio della sua Religione su le galee. E mi narrarono appresso come il loro padre Messer Bernardo Sommaia circa 30 anni sono comperò detta Signoria, e che quì morì, e vi è sepolto; e come gli succedé nella Signoria il primogenito chiamato Ridolfo, il quale morendo giovane, non anche amogliato, lasciò la Signoria al signor Carlo che all’hora dava opera a gli studi. Ne i quali si era molti anni essercitato in Napoli, in Bologna, et in Padova. Onde non può esser se non felice quella Terra che da principe letterato è retta, e governata. Tiene fin’ a hora il Signor Carlo della Signora Camilla sua consorte due figli maschi, Bernardino e Ridolfo, Nostro Signore gli conservi, e prosperi nella sua grazia.
La domenica mattina, a’ 5 di maggio 1577, detta messa andai a fare una predica in Duomo, presenti i due sopranominati Vescovi, col clero, e popolo copioso. Donò il Vescovo Lomellino questa mattina al convento un capretto, e mi pregò che al ritorno di Napoli io facessi la via di qua.
Dopo desinare partimmo al nostro viaggio: e passato al II miglio il fiume Cavellio, et al V il fiume di Vulturno, che poi corre grossissimo alle mura di Capua: e lasciatoci su la destra Venafro, e Rocca paperoccia, arrivammo al XV miglio all’osteria del Sesto, copiosa di ogni bene".
Il giorno seguente, Razzi si spostò a Longano dove conobbe i rappresentati delle famiglie nobili dell’epoca.
Ecco come annotò, in un manoscritto conservato nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (ms Palatino 37), i ricordi di quella visita:
"Il giovedì mattina a’ 2 di maggio andammo a dir la messa al convento nostro di Santa Croce, un tiro d’arco fuori della porta di Sernio. E questa istessa mattina rimandai il garzone col cavallo al Vasto, essendo arrivati a strade migliori, e più battute.
Visitai in questo dì Monsignor Giovambattista Lomellino, Vescovo, il quale mi mandò a donare una lepre e la ci godemmo co’ questi nostri padri. Visitai ancora questo dì Monsignore Sanfelice, già Vescovo della Cava, e prelato vecchio che nella Corte Romana ha havuti più honorati carichi. E specialmente due volte è stato governatore di Perugia.
Il venerdì mattina a’ 3 di maggio, detta messa, e fatta collazione andai con fra Stefano da Chieti, divoto sacerdote, a visitare il Signor Carlo Sommaia, fiorentino, e la sua signora madre, la Signora Lucrezia Gondi, e la sua signora consorte, la Signora Camilla (Rinieri) a Lungano, castello tre miglia da Sernio, su la sinistra mano, andando verso Napoli.
Lungano, forse così detto peroché lungh’anni, e grande etade ci vivono gli habitatori di quello per la bontà dell’aere, sopra un elevato colle, in mezzo a due assai vaghe e dilettevoli valli; il quale elevato colle, alle spalle della Rocca segue di ergersi più in alto con una costa piacevole e viene a difendere la Rocca et il Villaggio a basso dall’impeto de i venti. Dalla fronte poi di detta Rocca, tramezzando una cupa valle, soprasta un altissimo monte, da cui si veggono e si sentono con grato mormorio cadere acque chiarissime e gelidissime, in tanta copia et abondanza, che con altri rivi correnti da altre bande fanno il vago fiumicello Lungano onde la Terra trae il nome, et il quale genera e produce trote, co’ gran satisfazione di quei signori. Da i quali fui con molta cortesia ricevuto, portando una lettera della Rev. Madre Suor Giulia Sommaia, loro sorella, e monaca in S. Caterina da Siena, in Firenze.
Io desiderava di ritornare la sera a Sernio, ma quei signori, e la pioggia appresso non lo permisero. Onde cenai co’ loro signorie, e fra l’altre vivande ci furono prugnoli e pesci.
La mattina per tempo levandomi salii la costa sopra la Rocca, dicendo il nostre officio, e poscia levati quei signori celebrai la sacra messa, e presa licenza ce ne discendemmo pian piano di Sernio, con promessione di riveder lor Signorie, nel ritorno da Napoli.
Era col signor Carlo, fra Giovambattista cavalliere di Malta suo fratello, e mi dissero che il minor loro fratello fra Camillo anch’egli cavalliere di Malta, si trovava in servizio della sua Religione su le galee. E mi narrarono appresso come il loro padre Messer Bernardo Sommaia circa 30 anni sono comperò detta Signoria, e che quì morì, e vi è sepolto; e come gli succedé nella Signoria il primogenito chiamato Ridolfo, il quale morendo giovane, non anche amogliato, lasciò la Signoria al signor Carlo che all’hora dava opera a gli studi. Ne i quali si era molti anni essercitato in Napoli, in Bologna, et in Padova. Onde non può esser se non felice quella Terra che da principe letterato è retta, e governata. Tiene fin’ a hora il Signor Carlo della Signora Camilla sua consorte due figli maschi, Bernardino e Ridolfo, Nostro Signore gli conservi, e prosperi nella sua grazia.
La domenica mattina, a’ 5 di maggio 1577, detta messa andai a fare una predica in Duomo, presenti i due sopranominati Vescovi, col clero, e popolo copioso. Donò il Vescovo Lomellino questa mattina al convento un capretto, e mi pregò che al ritorno di Napoli io facessi la via di qua.
Dopo desinare partimmo al nostro viaggio: e passato al II miglio il fiume Cavellio, et al V il fiume di Vulturno, che poi corre grossissimo alle mura di Capua: e lasciatoci su la destra Venafro, e Rocca paperoccia, arrivammo al XV miglio all’osteria del Sesto, copiosa di ogni bene".
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