lunedì 14 maggio 2012

Molise, il terremoto infinito

Ancora un interessamento da parte della stampa nazionale sulle vicende del Molise in questo articolo sul terremoto del 2002 e la relativa ricostruzione.







Ricostruiremo San Giuliano di Puglia con gli architetti di Milano 2: parchi, case moderne e verde pubblico entro due anni». Era il 3 novembre 2002 quando Silvio Berlusconi, a favore di telecamere, piegava il dolore ad uso politico. Solo tre giorni prima, alle 11 e 31, una scossa di 5,9 gradi di magnitudo aveva investito 14 comuni del basso Molise. Le vittime erano state 28, una maestra e i suoi alunni intrappolati sotto le macerie della scuola Francesco Iovine, i feriti un centinaio, tremila gli sfollati. Da quel sisma sono passati dieci anni. Di Berlusconi rimane solo un ricordo. Del terremoto, invece, una ferita mai chiusa.
Bonefro, cinquanta chilometri da Campobasso, è il punto più dolente. Per arrivarci ci si deve addentrare fra i colli Verzelli e Totaro. Il borgo è lì, sulla destra del torrente Toma. Bonefro è uno dei 14 comuni che fanno parte del cratere del sisma. La famiglia di Teresa Buscio ci vive da sempre, ma in paese non torna da anni. È alloggiata in uno dei cinquanta prefabbricati allestiti per gli sfollati. C’è entrata nove mesi dopo il sisma, il «22 giugno del 2003», e da lì non si è più mossa. Teresa ha sessantasette anni e un marito di 71. E fa parte delle trenta famiglie del comune che ancora stanno aspettando un alloggio definitivo.
In Molise sono circa duemila nelle sue condizioni tra chi vive, come lei, in queste piccole baracche umide e chi ha scelto l’«autonoma sistemazione», e cioè una casa in affitto pagata dallo Stato. L’abitazione della famiglia Buscio, quaranta metri quadri di polistirolo, lamiera e una parte di legno, è marrone e sul lato d’ingresso è stata coibentata con un pannello bianco. Un regalo della Regione, fatto nel 2011, per far fronte agli inverni rigidi di queste latitudini e all’usura del tempo. D’altronde il prefabbricato è omologato per non più di cinque anni e ne sono passati dieci.
Nella casa di Teresa, come in tutte, non c’è riscaldamento se non quello elettrico. Con l’elettricità ci si scalda e ci si cucina. Ogni bimestre arrivano bollette in media di 600-800 euro. Spesso vengono rimborsate dalla Regione, altre volte pagate dai terremotati. Ma questo è il problema minore. «Io sono nata e vissuta in questo paese – ci dice Teresa – e qui voglio morire. Ma vorrei farlo a casa mia. Non in questa baracca».
La famiglia Buscio fa parte di quella fetta di terremotati inseriti nella cosiddetta fascia «A». Dopo il sisma la popolazione colpita venne suddivisa in categorie: dalla A alla F, a seconda della gravità del danno. I primi, come i Buscio, avrebbero dovuto avere una corsia preferenziale nella ricostruzione. Ma non fu così. Per qualche ragione i quattordici comuni interessati dal sisma divennero 84. E cioè tutti quelli della provincia. E tutti parteciparono alla ricostruzione. Anche senza titolo. Così, ad oggi, il 65% di prime abitazioni danneggiate (tra queste anche le scuole) attendono di essere sistemate.
A pioggia
Eppure i finanziamenti sono arrivati. In dieci anni, in forma diretta, circa 750 milioni. Altri 250 milioni di euro sono giunti, invece, con un finanziamento misto (europeo, statale, regionale) attraverso «il Programma pluriennale per la ripresa produttiva», ex articolo 15 varato dalla giunta di centrodestra nel giugno del 2004. I soldi dovevano permettere lo sviluppo delle aeree alluvionate (alla fine del 2003 il basso Molise fu investito da piogge torrenziali) e di quelle terremotate.
In tutto, dunque, sono stati erogati circa un miliardo di euro. Chi li ha pilotati? Il presidente della Regione Michele Iorio utilizzando otto anni di regime di emergenza e due di criticità. Status che gli hanno permesso di gestire, in qualità di commissario, con poteri straordinari, una montagna di denaro. Ma finita dove?
Carmela Barbieri ha due figli di 16 e ventidue anni, un marito e un cane. Abita a Colletorto. Siamo a un passo da San Giuliano di Puglia. Carmela vive in una casa che ha costruito da sola con il marito «mattone dopo mattone». I genitori, invece, sono ancora stipati in una delle 15-20 casette di legno arrampicate sopra il paese. Le chiamano gli «chalet» gentile dono della Valle D’Aosta. Il paese oggi conta poco più di duemila abitanti. Nel 2002 erano mille in più. Con Carmela visitiamo la scuola del paese. Anche questa si chiama «Francesco Iovine». È di legno, con le pareti di un friabile carton gesso e la foto di Bertolaso in bacheca. Pulita, ma provvisoria. Le scuole avrebbero dovuto avere la precedenza nella fase della ricostruzione. L’unica rimessa in piedi è quella crollata a San Giuliano. L’hanno fatta così grande che una metà è occupata da un call center. Ma l’hanno fatta solo lì.
Poco sopra l’abitazione di Carmela si vede il Gargano e il mare. Siamo a un passo dalla Puglia. Qualche chilometro più su il Molise ha il suo sbocco sull’adriatico, a Termoli. «Lì è attraccata la Termoli Jet» dice Carmela.
La Termoli Jet è una nave, ma è anche il simbolo dello spreco post terremoto. Michele Petraroia ce lo spiega nel suo ufficio a Campobasso. Pietraroia è uno dei tre consiglieri regionali del Pd. Alla parete ha una foto di Berlinguer che sorride e poco più sotto quella di Giuseppe Di Vittorio, forse per ricordare i suoi trenta anni alla Cgil. «La costruzione della Termoli Jet fu voluta dal governatore Iorio per collegare il Molise ai porti croati di Spalato, Ploce e Dubrovnik». Un collegamento veloce passeggeri, con frequenza stagionale, per il tragitto Termoli – Croazia, sotto l’insegna Larivera Lines «società di trasporto su gomma».
Si spese tra i sette e gli otto milioni di euro, soldi pescati nelle more della già citata legge ex articolo 15, quella destinata agli alluvionati e terremotati, con la scusa di incentivare il turismo. Oggi la Termoli Jet è ferma e il collegamento con la Croazia una chimera. Eppure (nonostante l’intervento dei magistrati) Iorio è rimasto sempre in sella. Perché? «Perché – spiega Petraroria – con la gestione commissariale il presidente ha creato un solido sistema di potere». In che modo?
Don Antonio Di Lalla è il parroco di Bonefro. Ha circa 50 anni. Dal 2003 ha creato un mensile dal costo di un euro. Lo ha chiamato «la fonte – periodico dei terremotati e di resistenza umana». Don Antonio ci spiega come funziona, in piccolo, il sistema Iorio. «Le faccio un esempio: prenda gli 84 comuni che partecipano alla ricostruzione. Con il sisma ognuno di questi ha assunto e stipendiato almeno 2 tecnici col compito di istruire, visionare e seguire, i progetti dei fabbricati danneggiati. A Bonefro ce se ne sono quattro retribuiti per 108 mesi. Ma in 10 anni sono stati istruiti solo 85 progetti» per nuove case. In pratica uno ogni tre mesi. «In tutto solo la struttura commissariale ha bruciato 8 milioni e duecentomila euro l’anno». Per un totale di 80 milioni.
Agenzia
L’emergenza, dunque, dà potere perché garantisce la gestione di fondi in regime speciale «in assenza di democrazia e controllo» dice Petraroia. Ma in Molise, per decreto governativo, l’emergenza è finita il 30 aprile scorso. Ma solo sulla carta. Nello stesso giorno la giunta regionale ha fatto approvare la legge numero 12, con la quale è stata istituita l’Agenzia regionale della Protezione civile. E che cos’è? È un’Agenzia, come si legge nel comma 10 dell’articolo 6, che «conforma la propria attività al rispetto della normativa post sisma recata da ordinanze, decreti, circolari e norme attuative» varate dalla precedente struttura commissariale.
In pratica una fotocopia della struttura precedente, ma con un altro nome. Gestita dalla giunta, e cioè da Iorio, che ha potere di nomina sul direttore e di controllo sui finanziamenti comprese le loro modalità di assegnazione.
In ballo ci sono i 346 milioni che lo scorso anno il Cipe ha destinato alla ricostruzione delle abitazioni di fascia «A». Tra l’altro una parte dei soldi (160 milioni circa) è già stata impegnata in altri progetti. L’Agenzia impiegherà poi altre duecento persone – la regione Molise (320mila abitanti) ha circa mille dipendenti, quasi come la Lombardia – «assunte senza concorso» denuncia Petraroia.
Quindi, nonostante sia dichiarata conclusa l’emergenza continua. «Sa perché restano in piedi i prefabbricati?» ci dice sorridendo don Antonio. «Per testimoniare a tutti che il sisma non è finito. E che per ricordare che servono altri soldi». Altro denaro per ricucire quella ferita ancora aperta.

Fonte: L'Unità

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