Non può muoversi, la caviglia e la tibia hanno subito un
forte trauma, si teme per la rottura dell’arto. I familiari prontamente l’accompagnano al pronto soccorso di
Isernia. Dopo un’attesa di oltre 3 ore, ecco che riceve le prime
cure. Da una prima osservazione, si evidenzia che vi è la rottura
della tibia, confermata dalle successive radiografie, con l’aggravante di una
frattura scomposta dell’arto. L’Ortopedico gli modella un gambaletto di sostegno, in
attesa di essere sottoposta ad intervento chirurgico per ricomporre l’arto, (questo
non può avvenire ad Isernia, in quanto non vi è un reparto adeguato ad
interventi di ortopedia). I sanitari iniziano il giro delle telefonate per la
disponibilità dei posti letto, tra gli ospedali, ove vi è un reparto di
Ortopedia in grado di intervenire sulla nostra paziente.
Al S.S. Rosario a Venafro vi è disponibilità, ma Enrica non se la sente di essere condotta in quel nosocomio, ha sentito parlare di due morti recenti, dovute presumibilmente alla mancanza del reparto di rianimazione, voci di corridoio al Veneziale, la sconsigliano: se succede qualcosa rimani sotto i ferri!
Il dolore incalza e non può evitare di essere condotta al S.S. Rosario.
Alla domanda della paziente: dottore disponete di un reparto di Rianimazione?
La risposta è stata negativa: no, non c’è più, confermando in parte le voci precedenti, che assumono veridicità ed estrema paura per la sua incolumità
Una testimonianza reale di come da un lato, si
tenta di salvare il salvabile, dopo anni di smantellamento progressivo
dell’ospedale di Venafro e l’estrema pericolosità, rappresentata da un reparto
che non può garantire le cure basilari per i degenti, ponendo in discussione la
vita stessa delle persone ricoverate.
E’ il caso di continuare a persistere sulla salvezza ad oltranza di reparti non più funzionali allo scopo principale di salvaguardare i malati, animati forse, solo dal tentativo di salvare i posti di lavoro degli operatori della sanità?
P.T.
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